Mons. Morosini: impegnarsi con i giovani per vincere la criminalità nella Locride
“Lascio la Locride in una situazione peggiore di come l'ho trovata sia dal punto di
vista economico che sociale”. Lo ha scritto mons. Giuseppe Fiorini Morosini,
arcivescovo di Reggio Calabria-Bova, in una lettera indirizzata al presidente della
Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, qualche giorno prima di trasferirsi dalla
diocesi di Locri-Gerace. Nella missiva al Capo dello Stato, il presule denuncia con
forza la mancanza di una politica di liberazione e di riscatto e chiede allo Stato
di intervenire immediatamente con una vera azione di promozione a favore della collettività.
Federico Piana lo ha intervistato:
R. – La lettera
è stata indirizzata a lui, perciò gli sarà arrivata. Ho voluto riprendere un discorso
che avevo iniziato con il capo dello Stato prima di iniziare il mio ministero pastorale
a Locri, denunciando che la situazione della Locride non era affatto migliorata, ma
era peggiorata. A Locri, si porta avanti solo una politica – giustamente – repressiva
nei confronti della criminalità organizzata, ma manca una politica di promozione per
la realtà che si vive.
D. – Una politica di promozione come mai è stata fatta,
nonostante tante volte la politica abbia detto: “Bisogna intervenire, bisogna fare
qualche cosa contro la ‘ndrangheta, contro i fenomeni mafiosi”?
R. – Contro
la ‘ndrangheta si lotta nel reprimere il male. Ma la vera guerra alla mafia, alla
‘ndrangheta si fa promuovendo il bene dei giovani, dando il lavoro, perché è lì che
la criminalità si nutre: nella disoccupazione, nell’abbandono dei giovani a se stessi.
D.
– Tutto questo secondo lei perché è avvenuto? Per incompetenza della politica, perché
la politica è stata connivente, perché c’è disinteresse generale …
R. – E’
un mistero: io non lo so. La resa alla difficoltà, lo scoraggiamento viene proprio
da questo, perché i mali si denunciano continuamente! Io scrissi anche a Mario Monti,
quando era presidente del Consiglio: si scrive e si parla, ma poi nessuno prende in
mano la situazione e dice: “Bene, interveniamo veramente, come si deve!”.
D.
– Lei ha fatto riferimento anche all’antimafia, un’antimafia che spesso diventa antimafia
militante e può essere anche nociva, da un certo punto di vista …
R. – Ma,
io non voglio dire nociva: fermarsi solo a quell’antimafia di denuncia, di
esteriorità … ho parlato al capo dello Stato della retorica dei beni sequestrati:
se ci si ferma lì, a dire “i beni sequestrati”, ma poi al giovane non diamo la possibilità
di lavorare, è vero che abbiamo sequestrato un bene al mafioso; però il giovane sempre
disoccupato resta! E se la mafia può, gli dà la possibilità di vivere, e così facilmente
cade nella sua rete.
D. – In tutto questo, la Chiesa cosa ha fatto e cosa può
fare per riuscire a risolvere questa situazione?
R. – Il mio sforzo in cinque
anni è stato quello di formare le coscienze e cercare di gridare ad alta voce che
la commistione tra malaffare e fede non può esistere; e poi, si sono continuati a
fare questi appelli, come io ho fatto al capo dello Stato. Al di là di questo, non
so proprio cosa la Chiesa possa fare …
D. – Adesso lei è arcivescovo di Reggio
Calabria–Bova: anche lì, la situazione non è delle migliori …
R. – Eh no, eh
no: è una situazione difficile anche qui. Ci auguriamo di poterla affrontare, con
l’aiuto di Dio.
D. – In che modo pensa di affrontarla?
R. – Cercherò
di muovermi come mi sono mosso a Locri. Poi, caso per caso, si dovrà vedere. Io non
conosco ancora profondamente la realtà della città e la realtà della diocesi: non
posso anticipare un impegno che dovrà venire, ancora.
D. – Lei spera che il
capo dello Stato le scriva, risponda a questa lettera?
R. – Me lo auguro!
D.
- Perché sembra – mi corregga se sbaglio – che la situazione della Calabria sia un
po’ dimenticata …
R. – Eh, purtroppo, l’abbandono è all’interno della Calabria
e all’interno della Locride. La Locride vive un abbandono ancora più grave di quello
che vive già la Calabria.
D. – E’ come se ci fosse un disinteresse anche da
parte dei media, dei giornali, di noi giornalisti …
R. – I giornalisti piombano
quando ci sono i fatti eclatanti. Ma quando bisogna denunciare certe altre cose, allora
non lo fanno.