Centrafrica: i missionari raccontano di scene apocalittiche
“Gli eventi si susseguono rapidamente, così come s’intensifica l’aggressività dei
ribelli. Assistiamo a scene apocalittiche e osserviamo i corpi delle tante vittime
che giacciono ancora ai lati della strada”. È il drammatico racconto di padre Aurelio
Gazzera, missionario carmelitano e direttore della Caritas diocesana di Bouar, che
da oltre vent’anni vive nella Repubblica Centrafricana. Il mese scorso, nella diocesi
di Bouar, i membri della coalizione Seleka ribelli hanno compiuto numerosi attacchi
costringendo gli abitanti alla fuga. “Nella sola città di Bohong - racconta ad Acs
(Aiuto alla Chiesa che soffre) - sono state bruciate più di 3500 case, mentre più
dell’80% della popolazione ha abbandonato il villaggio di Bossangoa, teatro di terribili
scontri che hanno causato più di sessanta morti”. E a Bohong i ribelli hanno ucciso
una trentina di persone e dato alle fiamme oltre 2.000 case per costringere gli abitanti
ad emigrare. Almeno 14 villaggi sono ormai completamente deserti. In tanti cercano
rifugio altrove e la missione carmelitana di Bozoum ha accolto più di 6.500 rifugiati.
“È commovente ascoltare i loro racconti - dice padre Aurelio -. Ci sono donne che
hanno perso il proprio marito e papà che hanno visto uccidere il proprio figlio. Tuttavia,
nonostante le atrocità subite, nel loro cuore non c’è odio né rabbia, ma soltanto
dolore e stanchezza”. Il religioso riferisce di una “commistione pericolosa tra diversi
gruppi armati e di una sempre maggiore propensione alla violenza dei membri della
Seleka”. Ma a preoccupare padre Aurelio sono soprattutto gli effetti che la drammatica
situazione centrafricana ha sui rapporti interreligiosi. “Un tempo i fedeli di credo
diverso convivevano pacificamente, ma l’arrivo dal Sudan e dal Ciad di ribelli musulmani
ha contribuito alla creazione di una frattura tra la comunità islamica e il resto
della società”. Il missionario sottolinea inoltre come le abitazioni musulmane siano
state risparmiate dagli attacchi, al contrario di quelle cristiane. “Non una singola
casa musulmana è stata bruciata. In alcuni casi gli islamici centrafricani hanno perfino
indicato ai ribelli quali abitazioni distruggere e saccheggiare. È come se questo
colpo di Stato abbia tirato fuori il peggio dal loro cuore”. Guardando al futuro,
padre Aurelio non esclude che possano scoppiare nuovi scontri. E seppure le violenze
dovessero finire all’istante, ci vorrebbero comunque anni per ricostruire il Paese.
“Ci vorrà ancora più tempo per ricreare una convivenza serena. Lo Stato è assente
e nessuno sembra interessarsi alle sorti del Paese. Fortunatamente, però, la fede
dei centrafricani è forte e viva, e la frase che ripetono più spesso è ancora 'Nzapa
a Yeke’: Dio c’è”. Nei mesi scorsi Acs ha stanziato 200mila euro in favore della Chiesa
centrafricana. (R.P.)