A vent'anni dagli Accordi di Oslo, ancora in alto mare la questione israelo-palestinese
Ricorre questo venerdì il 20.mo anniversario degli Accordi di Oslo che, il 13 settembre
1993, sembrarono essere il punto di svolta della questione israelo-palestinese ma
che poi dimostrarono la loro debolezza già nel 1995, quando dovettero essere integrati,
e nel 2000 quando scoppiò la cosiddetta seconda Intifada. Sull’importanza e le ragioni
del fallimento di questi Trattati, Davide Pagnanelli ha intervistato Marcella
Emiliani, esperta di questioni mediorientali, già docente all’università di Bologna-Forlì:
R. - Gli accordi
di Oslo furono un generoso tentativo di mettere fine al più vecchio conflitto mediorientale:
però, più che gli effetti, sono interessanti le cause che hanno portato agli accordi.
E’ stato un momento storico irripetibile, perché era finita la Guerra fredda: gli
Stati Uniti, che erano rimasti l’unica superpotenza in campo, imposero come propria
priorità di arrivare ad una definizione del più vecchio conflitto mediorientale, convinti
- come sono sempre stati - che fosse la matrice di tutti gli altri conflitti. Diciamo
che a quel momento storico non sono seguiti momenti storici altrettanto pieni di speranza
e di buona volontà e gli Accordi di Oslo richiedevano una grandissima dose di buona
volontà, perché in realtà poggiavano su delle basi talmente asimmetriche che tutte
le contraddizioni che contenevano già un paio di anni dopo erano scoppiate e si manifestarono
con l’assassinio del premier israeliano Yitzhak Rabin, che era stato colui che li
aveva siglati.
D. - Quali sono stati, poi, gli sviluppi successivi, gli altri
Trattati che li hanno seguiti?
R. - Di questa levatura e di quest’ampiezza
non ce ne sono stati. Quelli che son seguiti, sono stati tutti tentativi di riportarsi
al fatto di aver attorno allo stesso tavolo israeliani e palestinesi. Il grande fallimento
fu quello dell’estate del 2000, quando saltò per aria il vertice - riunito a Camp
David - in cui tutti si arroccarono sulle loro posizioni, anche se gli israeliani
dissero e affermarono che un’offerta come quella che era stata fatta ai palestinesi
nel corso di Camp David 2000 non era mai stata fatta. Dall’altra parte Arafat, però,
fece notare come in realtà non si stesse parlando del vero problema, che era la restituzione
di tutta la Cisgiordania.
D. - Dopo pochi anni si ebbe anche la prima Intifada.
Ma dove fallirono veramente gli Accordi di Oslo?
R. - Fallirono per il fatto
di essere asimmetrici. I palestinesi non riuscivano ad avere altro che l’arma della
violenza per costringere gli israeliani ad arrivare al tavolo dei negoziati. La loro
forza consisteva nella fiducia che veniva data loro: nel momento in cui la destra
al potere in Israele non ha più rinnovato quella fiducia ai palestinesi e il consesso
internazionale non è più stato - parliamoci chiaro, gli Stati Uniti - così forte da
poter premere su Israele perché arrivasse al tavolo dei negoziati, la forza dei palestinesi
è automaticamente venuta meno.
D. - Proprio nelle ultime settimane Autorità
nazionale palestinese e Israele si stanno muovendo al tavolo delle trattative: che
sviluppi si attendono per il futuro?
R. - Siamo di nuovo allo stallo, perché
i palestinesi chiedono una sola cosa agli israeliani: che sospendano il processo di
colonizzazione dei Territori Occupati. Netanyahu, che è l’attuale primo ministro israeliano,
nel momento stesso in cui si siede al tavolo dei negoziati con i palestinesi, continua
a dare permessi perché si costruiscano altre colonie in Cisgiordania. Fra un po’ da
restituire ai palestinesi non ci sarà neanche più un metro quadrato di terra.