Il card. Ravasi: lettera del Papa a Scalfari "manifesto" del Cortile dei Gentili
La lettera di Papa Francesco si sofferma in particolare sull'importanza del dialogo
tra credenti e non credenti. Un tema su cui è particolarmente impegnato il cardinale
Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e promotore
del "Cortile dei Gentili". Al microfono di Fabio Colagrande, il cardinale Ravasi
confida i sentimenti cui i quali ha accolto questa lettera del Papa:
R. – Certamente,
l’ho accolta con particolare soddisfazione, anche perché mi sembra che questo testo
possa diventare, per certi versi, una sorta di manifesto del Cortile dei Gentili,
per i contenuti ma anche per il metodo del dialogo stesso. C’è una frase emblematica,
che abbiamo continuato a testimoniare anche attraverso gli incontri che sono stati
fatti finora: “Il credente non è arrogante, ma umile”. E, soprattutto la presentazione
della fede come luce e non come tenebra misteriosa, che permette poi l’accusa di oscurantismo.
Penso che, in questa luce, la lettera del Papa sia anche il più alto patrocinio all’incontro
del Cortile dei Gentili che il 25 di settembre faremo nel Tempio di Adriano a Roma,
con il dialogo che condurrò proprio con Eugenio Scalfari.
D. -– Il Papa parte
da una constatazione: “Il dialogo con i non credenti non è un accessorio secondario
nella vita di chi crede, anzi”...
R. – E questa è forse proprio la dichiarazione
più forte, per cui – come ho detto – è quasi una sorta di suggello che viene dato
a questa istituzione del Cortile, che ormai è tale non solamente all’interno del nostro
dicastero, ma anche – se si vuole – nell’ambito del dialogo della Chiesa con il mondo
contemporaneo. Quindi, è anche un avallo solenne e ulteriore a quel punto di partenza
che era stato dato da Benedetto XVI, il quale con intensità ha sempre sostenuto con
particolare passione il Cortile. Ora, Benedetto XVI “idealmente” passa anche in questo
caso il testimone a Papa Francesco che ha intuito e ha centrato lo spirito fondamentale
del Cortile.
D. – Un’altra precisazione che il Papa fa in apertura di questa
lettera, e sulla quale si sofferma, è che senza la Chiesa non avrebbe potuto incontrare
Gesù.
R. – Secondo me, ci sono un po’ come due volti interessanti. Da una parte,
il volto del credente, il quale afferma la sua identità in maniera chiara. È quello
che noi abbiamo sempre voluto affermare: l’identità nel dialogo deve essere la più
completa possibile, la più ricca. Quindi, direi che ci sono due elementi sui quali
il Papa insiste molto: da un lato la figura di Cristo, che è centrale per il credente
cristiano e dall’altra parte la comunità, la Chiesa, al cui interno Cristo è presente
e il credente stesso è presente. La Chiesa è necessaria proprio per quel principio
fondamentale, il cuore quasi del messaggio cristiano, che è l’Incarnazione. Per cui,
la fede non è semplicemente un’adesione interiore, spirituale, mistica e soggettiva.
Direi che questo è l’elemento fondamentale: Cristo e Chiesa nell’identità del cristiano
che si presenta a dialogare con colui che vuole conoscere questo orizzonte.
D.
– Infine, un’altra affermazione forte del Papa: “Per chi crede la verità non è assoluta
ma è una relazione”...
R. – Bisogna ricordare che questa componente della verità
è stata ininterrottamente riproposta tutte le volte che ho condotto e ho partecipato
ai Cortili dei Gentili, perché è evidentemente uno snodo capitale. E soprattutto,
come nel caso delle fede che è luce, anche in questo caso l’affermazione della verità
assoluta qualche volta creava una difficoltà di partenza, perché la concezione di
assoluto all’interno delle cultura contemporanea è problematica e, soprattutto per
molti, ciò che non è assoluto è relativo. Quindi, la relatività è la dispersione totale.
Invece, questo non essere assoluto – come spiega appunto Papa Francesco – è il significato
vivente della verità. La verità di sua natura ci precede e ci eccede, e noi siamo
pellegrini in essa. Quindi, abbiamo bisogno di una relazione con la verità che ci
circonda. Per il credente, evidentemente, è il divino, è il trascendente. Per il non
credente è proprio questo immenso orizzonte nel quale si cammina. Già Platone lo affermava
quando diceva che la biga dell’anima, il cocchio dell’anima, corre nella pianura della
verità, cioè la verità non è una realtà fredda come una pietra preziosa che tu metti
in tasca. È invece una pianura immensa, un orizzonte – o per usare un’altra immagine
di uno scrittore del secolo scorso – possiamo dire che la verità è un mare nel quale
si entra e si naviga. Ecco, in questa luce credo che l’espressione verità non assoluta,
ma personale, interpersonale, sia molto fruttuosa per il dialogo, senza per questo
perdere in sé la dimensione di oggettività, di identità in sé stessa, tipica della
verità.