Myanmar: la Caritas in aiuto dei Rohingya, musulmani birmani in fuga da violenze e
persecuzioni
Con la fine della stagione dei monsoni e il miglioramento delle condizioni del mare,
potrebbe riprendere l'esodo in massa dei profughi della minoranza musulmana birmana
Rohingya. È l'allarme lanciato dai volontari di Caritas Thailandia, che preparano
ad una nuova ondata di arrivi sulle coste del Paese. E se Bangkok ha più volte bollato
come "immigrati irregolari" i Rohingya, abbandonandoli in mare aperto o rimpatriandoli
in Myanmar - col rischio di nuove persecuzioni -, i volontari cattolici - riferisce
l'agenzia AsiaNews - hanno avviato una serie di programmi di assistenza e recupero.
Padre Sriparasert, segretario generale di Caritas Thailandia, conferma che il problema
dei Rohingya è un "problema scottante" per il governo di Bangkok e per "tutte le nazioni
del Sud est asiatico". Molti dei rifugiati cercano accoglienza in Malaysia, Paese
a larga maggioranza musulmano, dove sperano di subire un trattamento migliore di quanto
non avvenga in Bangladesh o la stessa Thailandia. Ad oggi, racconta padre Sriparaset
a Catholic News Agency (Cna), "oltre 2mila Rohingya sono rinchiusi in diversi Centri"
sparsi per la Thailandia, in molti casi privi di diritti di base sanciti dalla Convenzione
internazionale sui rifugiati. Le donne e i bambini sono inviati nei Centri al nord,
mentre gli uomini nei Campi del sud. "Vivono nel timore costante di attacchi - aggiunge
il sacerdote - di restare vittima del traffico di vite umane, di violazioni e omicidi".
In particolare, donne e bambini sono oggetto "della tratta" di trafficanti senza scrupoli
e vivono in condizioni "degradanti, disumane e pericolose". Per questo Caritas Thailandia,
in collaborazione con il Catholic Office for Emergency Relief and Services (Coerr),
ha predisposto una serie di iniziative fra cui un sostegno sanitario, alimentare e
sociale nei vari centri di accoglienza a livello diocesano. "I volontari della Caritas
fanno un lavoro encomiabile - conclude padre Sriparaset - di sostegno psicologico
e medico e nei centri di accoglienza cerchiamo di restituire una dignità ai rifugiati.
Sono gesti che rafforzano la nostra fede, che ci invitano ad amare i più poveri, a
costruire la pace e facilitare il dialogo interreligioso". Negli ultimi due anni le
violenze fra buddisti e musulmani hanno acuito il clima di tensione fra le diverse
etnie e confessioni religiose che caratterizzano il Myanmar, teatro lo scorso anno
di una lotta sanguinaria nello Stato occidentale di Rakhine fra Arakanesi e Rohingya
musulmani. Lo stupro e l'uccisione di una giovane buddista ha scatenato una spirale
di terrore, che ha causato centinaia di morti e di case distrutte, almeno 160mila
sfollati molti dei quali hanno cercato riparo all'estero, per sfuggire agli attacchi
degli estremisti buddisti del gruppo 969. Secondo le stime delle Nazioni Unite in
Myanmar vi sono almeno 800mila musulmani Rohingya, che il governo considera immigrati
irregolari e per questo sono vittime di abusi e persecuzioni. (R.P.)