2013-09-09 15:09:43

Siria. Mosca: esplosione di terrorismo in caso di attacco. Usa: più rischioso non agire


Ascoltato oggi in Procura a Roma l'inviato della Stampa Domenico Quirico, liberato la notte scorsa in Siria dopo cinque mesi di prigionia assieme con il belga, Pier Piccinin. Nessuna notizia, invece, sulla sorte del gesuita padre Dall’Oglio, di due vescovi di Aleppo e due sacerdoti, mentre sarebbero almeno 24 i giornalisti sia siriani sia stranieri, sequestrati negli ultimi 12 mesi. Dalla zona di Raqqa arrivano intanto notizie preoccupanti di bombardamenti e sul piano internazionale Mosca e Washington continuano il confronto a distanza, attraverso dichiarazioni di capi delle diplomazie. Il servizio di Fausta Speranza:RealAudioMP3

Al momento, sulla crisi siriana è guerra di dichiarazioni. Dalla Russia l’avvertimento: uno scenario di forza porterà a una esplosione di terrorismo in Siria e nei Paesi vicini. A parlare è il ministro degli Esteri, Lavrov, ricevendo a Mosca l’omologo siriano. Praticamente in contemporanea, a Londra, è l’incontro tra il ministro degli Esteri britannico, Hague, e il segretario di Stato Usa, Kerry, che parla di catastrofe umanitaria in corso in Siria con più rischi a non agire che ad agire. Kerry però chiarisce: nessun intervento se Assad consegna armi chimiche. Ma le dichiarazioni più forti devono ancora arrivare: la Cbs sta per trasmettere la prima intervista ad Assad, mentre Obama ha registrato interventi in sei network televisivi. Da anticipazioni dei media, è noto che Assad neghi l’uso di armi chimiche e assicuri ritorsioni degli alleati in caso di attacco a Damasco. Resta, sullo sfondo delle offensive mediatiche, l’attesa per il voto alla Camera del Congresso Usa sulla scelta militare. Tra le tante obiezioni all’azione militare, c’è quella che riguarda le forze in campo contro il regime. Si parla di presenza sempre più significative di estremisti islamici. Il giornalista Quirico appena rilasciato ha detto di sentirsi “tradito” dalla "rivoluzione siriana", che interesse e speranze aveva suscitato ai tempi della presa di Aleppo da parte dei ribelli e che poi è stata dirottata in parte dalle frange dell'estremismo islamico. Fausta Speranza ne ha parlato con Riccardo Redaelli, docente di Storia e istituzioni del mondo islamico all'Università Cattolica di Milano:

R. – E’ una presenza – ahimé – in forte aumento ed è sempre più determinante per le sorti del conflitto. Rispetto ai cosiddetti "moderati" dell’Esercito libero della Siria, i gruppi jihadisti hanno sempre più peso. Sono raggruppati in vari movimenti, il più forte è il "Jabat al Nusra", l’altro è lo Stato islamico dell’Iraq del Levante. Lo dimostrano dati statunitensi, in base tra l’altro ai morti tra i mujaheddin, cioè i combattenti che combattono in jihad arabi non siriani. Ebbene, la maggior parte di questi è morta nelle file dei gruppi jihadisti. Questo ci dice che dall’estero arrivano sempre più combattenti che sono legati ad al Qaeda e ai movimenti jihadisti, che non vogliono l’abbattimento di un dittatore sanguinario come Assad per portare la cosiddetta "democrazia", ma semplicemente per abbattere un nemico dell’islam e creare uno Stato fanatizzato e vicino al terrorismo islamico.

D. – Chiaramente, l’argomento delle armi chimiche è un argomento drammatico, ma anche questo aspetto andrebbe discusso. Secondo lei, l’attesa del voto del Congresso statunitense sull’ipotesi di un attacco armato, è un’attesa che considera anche il dibattito intorno a questo aspetto?

R. – Sì, le armi chimiche sono un’arma orribile e i morti ci hanno impressionato. Ma ci devono impressionare tutti i morti. Le armi chimiche hanno fatto probabilmente lo 0,5% dei morti che ci sono stati in Siria in questi due anni. Detto questo, in ogni caso c’è una commissione Onu, degli ispettori Onu che stanno monitorando la situazione. Bisognerebbe perlomeno lasciar lavorare gli ispettori Onu e aspettare il loro responso, perché non è del tutto chiaro chi le abbia usate: non vi è ancora la certezza che le abbiano usate forze armate siriane per ordine del governo di Damasco.

D. – Che cosa dire di questo botta e risposta mediatico tra Mosca e Washington?

R. – Questo è preoccupante: ci mostra quanto la questione non sia tanto proteggere i cittadini siriani, il popolo siriano, ma quanto ci sia un gioco di potere. Obama vuole un attacco e certi settori vogliono un attacco soprattutto perché la Siria è un alleato-chiave dell’Iran. I Paesi arabi combattono in Siria perché combattono l’espansione o comunque questo ruolo geopolitico dell’Iran e dello sciismo: questa non ha nulla a che fare con la popolazione siriana. E tanto meno Putin se ne preoccupa perché il sostegno ad Assad è un sostegno quasi secondo i vecchi schemi di guerra-fredda: la Russia sostiene la Siria perché ne ha dei ritorni geopolitici molto forti, e perché ha un importante porto in Medio Oriente. Tutto questo inquadra il conflitto siriano in uno scontro regionale e internazionale e non più legato alla liberazione di un popolo da un dittatore.

Intanto sul terreno c’è l’allarme lanciato dalla zona vicina alla diga sull'Eufrate, nel nord della Siria, colpita da bombardamenti dell'aviazione siriana fedele a Assad. Secondo gli abitanti c’è il rischio di una devastante inondazione dell'intera provincia, da mesi sotto il controllo delle truppe ribelli.







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