Siria. Mosca: esplosione di terrorismo in caso di attacco. Usa: più rischioso non
agire
Ascoltato oggi in Procura a Roma l'inviato della Stampa Domenico Quirico, liberato
la notte scorsa in Siria dopo cinque mesi di prigionia assieme con il belga, Pier
Piccinin. Nessuna notizia, invece, sulla sorte del gesuita padre Dall’Oglio, di due
vescovi di Aleppo e due sacerdoti, mentre sarebbero almeno 24 i giornalisti sia siriani
sia stranieri, sequestrati negli ultimi 12 mesi. Dalla zona di Raqqa arrivano intanto
notizie preoccupanti di bombardamenti e sul piano internazionale Mosca e Washington
continuano il confronto a distanza, attraverso dichiarazioni di capi delle diplomazie.
Il servizio di Fausta Speranza:
Al momento,
sulla crisi siriana è guerra di dichiarazioni. Dalla Russia l’avvertimento: uno scenario
di forza porterà a una esplosione di terrorismo in Siria e nei Paesi vicini. A parlare
è il ministro degli Esteri, Lavrov, ricevendo a Mosca l’omologo siriano. Praticamente
in contemporanea, a Londra, è l’incontro tra il ministro degli Esteri britannico,
Hague, e il segretario di Stato Usa, Kerry, che parla di catastrofe umanitaria in
corso in Siria con più rischi a non agire che ad agire. Kerry però chiarisce: nessun
intervento se Assad consegna armi chimiche. Ma le dichiarazioni più forti devono ancora
arrivare: la Cbs sta per trasmettere la prima intervista ad Assad, mentre Obama ha
registrato interventi in sei network televisivi. Da anticipazioni dei media, è noto
che Assad neghi l’uso di armi chimiche e assicuri ritorsioni degli alleati in caso
di attacco a Damasco. Resta, sullo sfondo delle offensive mediatiche, l’attesa per
il voto alla Camera del Congresso Usa sulla scelta militare. Tra le tante obiezioni
all’azione militare, c’è quella che riguarda le forze in campo contro il regime. Si
parla di presenza sempre più significative di estremisti islamici. Il giornalista
Quirico appena rilasciato ha detto di sentirsi “tradito” dalla "rivoluzione siriana",
che interesse e speranze aveva suscitato ai tempi della presa di Aleppo da parte dei
ribelli e che poi è stata dirottata in parte dalle frange dell'estremismo islamico.
Fausta Speranza ne ha parlato con Riccardo Redaelli, docente di Storia
e istituzioni del mondo islamico all'Università Cattolica di Milano:
R. – E’
una presenza – ahimé – in forte aumento ed è sempre più determinante per le sorti
del conflitto. Rispetto ai cosiddetti "moderati" dell’Esercito libero della Siria,
i gruppi jihadisti hanno sempre più peso. Sono raggruppati in vari movimenti, il più
forte è il "Jabat al Nusra", l’altro è lo Stato islamico dell’Iraq del Levante. Lo
dimostrano dati statunitensi, in base tra l’altro ai morti tra i mujaheddin, cioè
i combattenti che combattono in jihad arabi non siriani. Ebbene, la maggior
parte di questi è morta nelle file dei gruppi jihadisti. Questo ci dice che dall’estero
arrivano sempre più combattenti che sono legati ad al Qaeda e ai movimenti jihadisti,
che non vogliono l’abbattimento di un dittatore sanguinario come Assad per portare
la cosiddetta "democrazia", ma semplicemente per abbattere un nemico dell’islam e
creare uno Stato fanatizzato e vicino al terrorismo islamico.
D. – Chiaramente,
l’argomento delle armi chimiche è un argomento drammatico, ma anche questo aspetto
andrebbe discusso. Secondo lei, l’attesa del voto del Congresso statunitense sull’ipotesi
di un attacco armato, è un’attesa che considera anche il dibattito intorno a questo
aspetto?
R. – Sì, le armi chimiche sono un’arma orribile e i morti ci hanno
impressionato. Ma ci devono impressionare tutti i morti. Le armi chimiche hanno fatto
probabilmente lo 0,5% dei morti che ci sono stati in Siria in questi due anni. Detto
questo, in ogni caso c’è una commissione Onu, degli ispettori Onu che stanno monitorando
la situazione. Bisognerebbe perlomeno lasciar lavorare gli ispettori Onu e aspettare
il loro responso, perché non è del tutto chiaro chi le abbia usate: non vi è ancora
la certezza che le abbiano usate forze armate siriane per ordine del governo di Damasco.
D.
– Che cosa dire di questo botta e risposta mediatico tra Mosca e Washington?
R.
– Questo è preoccupante: ci mostra quanto la questione non sia tanto proteggere i
cittadini siriani, il popolo siriano, ma quanto ci sia un gioco di potere. Obama vuole
un attacco e certi settori vogliono un attacco soprattutto perché la Siria è un alleato-chiave
dell’Iran. I Paesi arabi combattono in Siria perché combattono l’espansione o comunque
questo ruolo geopolitico dell’Iran e dello sciismo: questa non ha nulla a che fare
con la popolazione siriana. E tanto meno Putin se ne preoccupa perché il sostegno
ad Assad è un sostegno quasi secondo i vecchi schemi di guerra-fredda: la Russia sostiene
la Siria perché ne ha dei ritorni geopolitici molto forti, e perché ha un importante
porto in Medio Oriente. Tutto questo inquadra il conflitto siriano in uno scontro
regionale e internazionale e non più legato alla liberazione di un popolo da un dittatore.
Intanto
sul terreno c’è l’allarme lanciato dalla zona vicina alla diga sull'Eufrate, nel nord
della Siria, colpita da bombardamenti dell'aviazione siriana fedele a Assad. Secondo
gli abitanti c’è il rischio di una devastante inondazione dell'intera provincia, da
mesi sotto il controllo delle truppe ribelli.