2013-09-06 15:57:43

Festival Venezia. Sullo schermo storie di immigrazione tra drammi e dignità


Alla Mostra del Cinema di Venezia tanti i film legati alle più tragiche realtà, pubbliche e private, in cui vittime innocenti e violenze terribili sembrano non preludere a un futuro in cui il rispetto della dignità umana sia un valore definitivamente acquisito. Molte anche le opere che trattano la questione dell’immigrazione e il modo con il quale affrontare i tanti problemi che ne scaturiscono. Tra queste, due film maturi e compiuti di Daniele Gaglianone e Andrea Segre. Il servizio di Luca Pellegrini:RealAudioMP3

Il tema dell’integrazione e dell’accoglienza ha toccato tanti ambiti e ispirato alcuni bravissimi registi italiani presenti alla Mostra del Cinema. Daniele Gaglianone, ad esempio, con “La mia classe” presentato alle Giornate degli autori, recupera attraverso le testimonianze vere raccolte da un maestro di italiano in una classe multietnica, una coscienza morale e una visione politica che, mai disgiunte, dovrebbero formare un Paese e fornirgli leggi e strumenti per affrontare urgenze umanitarie e situazioni quotidiane. Andrea Segre, invece, con “La prima neve”, nella sezione Orizzonti, si cala nella valle trentina dei Mocheni, dove una responsabile comunità di immigrati africani convive in modo maturo e produttivo con gli abitanti locali. Deni, nato in Togo, ha attraversato il mare per raggiungere il miraggio del benessere e della libertà, ha perso la moglie nel percorso, proprio nel momento in cui dava alla vita una bimba. Intercetta altre esistenze dolorose come la sua: quella di Elisa, vedova e con Michele, un figlio adolescente e irrequieto. Sono tutti avvolti nella bellezza di una natura rigogliosa e in grado di ascoltarsi tra loro nei momenti di maggiore solitudine, vuoto e afflizione. Un film capace di guardare con attenzione ai personaggi in un tragitto di vita dignitoso e terribilmente attuale. Due problemi in modo intelligente e severo Segre avvicina nel suo film: quello dell’integrazione e quello della paternità. Uno che investe l’Italia intera, l’altro inserito in tanti contesti familiari. Abbiamo chiesto al regista come è riuscito a integrarli in modo così compiuto e vivo nella sua opera:

R. – Credo abbia a che fare con un tema a me caro e che mi piace affrontare perché credo sia molto ricco: quello della crisi delle identità. Mi piace interrogarmi ed interrogare l’uomo nel momento in cui non sa bene più chi è. Perdere un padre o essere spostato o spostarsi dal luogo dove si è cresciuti, nati, o perdere una moglie nel momento in cui nasce una vita, è un pugno alla tua anima, è un pugno a chi sei. Non auguro a nessuno di perdere il padre quando si hanno otto anni, o di dover scappare da una guerra, però sono quei pugni da cui spesso si trovano poi forze ed energie che ti aiutano a capire meglio che cos’è l’essere umano. Andare a interrogare l’umanità in quei punti di crisi credo che sia una delle cose più profonde che il cinema, la letteratura possano fare. Quindi, ho provato a mettere insieme – come in parte ho fatto anche nel film “Io sono lì” e come spesso faccio – questa situazione di forte messa in discussione di un’integrità, di forte rischio della perdita dell’orientamento, per poi trovare lì invece delle profondità, delle intensità che nascono dall’avere il coraggio di mettere insieme delle situazioni di dolore. Questo l’ho fatto perché l’ho visto tante volte nella realtà: avendo per lavoro, ma prima che per lavoro per scelta umana, frequentato luoghi di crisi e vivendo in un Paese attraversato da tante crisi – di cui l’ultima secondo me è uno dei punti di arrivo, anche se in realtà ci sono tanti elementi di crisi intorno – mi sono ispirato a ciò che in questi luoghi di forte crisi ho trovato di grande dignità. I braccianti africani di Rosarno, o i profughi eritrei di Sushia, o i contadini sfrattati di Rosà mi hanno insegnato tantissime cose nella mia vita, perché di fronte a momenti di fortissima crisi, di fortissima destabilizzazione, hanno trovato pezzi di dignità e mostrato pezzi di dignità umana che in altri luoghi non ho visto.







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