2013-09-06 08:11:04

Al G20 posizioni distanti sull'intervento armato in Siria. Sul terreno ancora scontri


a San Pietroburgo dove i lavori del G20, ufficialmente sull’economia mondiale, sono centrati comunque sulla crisi siriana. Ieri la cena di lavoro. Il premier italiano Letta in un Tweet ha confermato le divisioni sull’intervento armato: gli Usa premono per l’attacco, accettato da Mosca solo sotto egida Onu. Spaccature riportate anche da fonti di stampa Russe. Da San Pietroburgo, Giuseppe D’amato:RealAudioMP3

La speranza è che la notte abbia portato consiglio. I leader del G20 hanno parlato tra loro informalmente sulla situazione siriana. Non si hanno per ora comunicati ufficiali. Il canale “Russia 24” vicino al Cremlino ha affermato che i leader si sono divisi in due fronti opposti, ma non vi sarebbe una maggioranza né dall’una né dall’altra parte. Navi militari russe sono entrate nel mar Mediterraneo provenienti dal mar Nero, mentre altre unità statunitensi stanno affluendo davanti alle coste della Siria. Il segretario dell’Onu Ban Ki Moon ha apprezzato la lettera di Papa Francesco al G20. Gesti come quelli del Pontefice possono dare un contributo importante, ha detto un portavoce delle Nazioni Unite. Il presidente russo Putin ha invece parlato a lungo nel cuore della notte con il premier britannico Cameron in un incontro bilaterale organizzato all’ultimo momento.

In Siria intanto continuano gli scontri tra oppositori del regime e militari, in allerta tutti i Paesi confinati con Damasco. Mentre negli Stati Uniti, secondo fonti di stampa, circola una nuova bozza di risoluzione che mira ad obbligare Damasco alla messa al bando delle armi chimiche. Il servizio di Marina Calculli. RealAudioMP3

Mentre a San Pietroburgo di aprivano le danze del G-20 a Damasco ieri un’autobomba è esplosa, uccidendo quattro persone e ferendone altre sei. L’esplosione è avvenuta vicino a un centro di ricerca del ministero dell'Industria. Intanto verso le coste siriane si stanno dirigendo tre navi da guerra russe che hanno il Bosforo. Secondo Mosca l'invio delle navi è mirata a garantire sicurezza ai cittadini russi, in vista di una possibile evacuazione dei residenti in Siria. La tensione è altissima all’interno della regione per gli eventuali contagi nei paesi confinanti con la Siria. Ieri, tra l’altro, il Wall Strett Journal ha rivelato che i servizi segreti americani hanno intercettato l'ordine di un funzionario iraniano ai militanti sciiti in Iraq di attaccare obiettivi statunitensi a Baghdad nel caso di intervento militare in Siria. E dall’America stessa emerge una nuova possibile soluzione politica: una nuova bozza preparata da due senatori americani darebbe 45 giorni ad Asad per mettere al bando le armi chimiche e firmare il protocollo internazionale che le vieta. Anche il Libano teme, mentre Hezbollah ribadisce il suo fermo sostegno a Damasco. Il numero di rifugiati è ormai incontenibile e l’ennesima notizia drammatica che giunge dall’alto commissariato ONU per i rifugiati svela che più di un quarto di profughi siriani in Libano non riceverà più aiuti alimentari dall’ONU a causa della mancanza di fondi.

Ma sui motivi che hanno portato ad un’accelerazione dell’intervento internazionale, Marco Guerra ha sentito Pietro Batacchi direttore della Rivista Italiana Difesa:RealAudioMP3

R. - Negli ultimi mesi - a partire dal gennaio di quest’anno - il regime siriano si è rafforzato sul terreno. Grazie all’intervento dei guerriglieri libanesi di Hezbollah e l’assistenza ricevuta dall’Iran, i ribelli hanno iniziato a perdere le posizioni che avevano guadagno e il cosiddetto equilibrio di potere sul terreno è mutato a vantaggio del regime siriano. Questo ha innescato una serie di processi: a cominciare dal fatto che gli israeliani non potevano più tollerare che Hezbollah fosse così pesantemente intervenuta in Siria e che comunque potesse essere in grado eventualmente di poter accendere un secondo fronte contro Israele - oltre a quello libanese - anche in Siria; e dall’altra parte le monarchie arabe del Golfo, cominciando dall’Arabia Saudita e dal Qatar, si sono rese conto che il regime di Assad doveva essere, in qualche misura, riportato entro certi confini. Questa serie di processi ha innescato, a prescindere dall’impiego di armi chimiche, la reazione da parte degli Stati Uniti, della Francia e della coalizione dei volonterosi che si va costituendo, ma dietro la quale ci sono le monarchie arabe e Israele.

D. - Alcuni analisti sostengono che in realtà gli Usa non intendono far cadere Assad, ma indebolire l’asse tra il regime di Damasco, Hezbollah e Iran…

R. - La risoluzione approvata dalla Commissione Esteri del Senato americano non a caso parla di “significativi cambiamenti all’equilibrio militare in Siria”. Per cui l’indebolimento dell’asse tra Iran, Siria ed Hezbollah è uno degli obiettivi dell’intervento americano. Questo non significa che debba portare alla caduta del regime siriano: significa soltanto che un certo stato di cose che si è andato consolidando sul terreno negli ultimi mesi, deve essere cambiato a beneficio di una serie di interessi, che sono essenzialmente quelli delle monarchie del Golfo e di Israele. Non dimentichiamo il ruolo che le monarchie del Golfo hanno sempre avuto nel finanziamento e nel supporto del fronte ribelle, che non ha nulla a che fare con la democraticità e che un domani potremmo trovarci a dover fronteggiare come esattamente sta succedendo adesso in Libia.

D. - L’amministrazione americana ha valutato questi rischi?

R. - Credo che un’eventuale caduta di Assad possa provocare una ripetizione dello scenario libico, ma su scala ben maggiore e ben peggiore, perché la Siria - per la sua importanza geopolitica come cerniera del sistema mediorientale - è ben più importante della Libia. Un’eventuale caduta di Assad, che è sempre stato una sorta di fattore di certezza e di prevedibilità, sarebbe una sorta di bomba nucleare lanciata sul Medio Oriente.







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