L’impegno di “Accoglienza senza confini” per ospitare in Italia i bambini bielorussi
Ogni anno vengono ospitati in Italia i bambini bielorussi della regione di Gomel,
la zona maggiormente contaminata da Cesio 137 dopo l’esplosione atomica di Chernobyl.
“Accoglienza senza confini” onlus, è tra le associazioni impegnate ad offrire ad essi
una vacanza terapeutica, fatta di prevenzione e di cura. Al microfono di Elisa
Sartarelli, il presidente dell’associazione Francesco Paolo Rubino:
R. – Dal 2004
“Accoglienza senza confini” ospita, da giugno a fine agosto, circa 65 bambini. Anche
nel periodo natalizio abbiamo un mese di accoglienza, che va dal 15 dicembre al 15
gennaio. I bambini provengono dalla cosiddetta “zona morta” di Chernobyl, che è all’incirca
18, 20 km da Chernobyl, in territorio bielorusso. La nostra organizzazione si occupa
d’interventi e di aiuti umanitari in questo territorio.
D. – Oltre al legame
affettivo che si crea con le famiglie ospitanti, ai bambini vengono garantite cure
sanitarie, grazie alla collaborazione con la Asl di Matera...
R. – A questi
bambini vengono fatte visite preventive, dal punto di vista pediatrico appunto, per
vedere se la muscolatura è consona allo scheletro. Ci sono poi anche visite oculistiche,
ecografie tiroidee per la salvaguardia dal tumore alla tiroide. Arrivano qui piuttosto
gracili nel fisico, hanno delle carenze dettate dalla cattiva alimentazione o dalla
precaria vivibilità nelle loro case quelli che vengono da famiglie. Ci sono ragazzi
che vengono dagli istituti, che sono orfani, che ricevono una maggiore attenzione.
Sostanzialmente non ci sono grandi patologie, perché questi ragazzi vengono visitati
continuamente nel loro territorio e per loro ci sono periodi di risanamento, proprio
per prevenire l’insorgenza di malattie pericolose. Ricordiamo che ci sono leucemie
fulminanti oppure cataratte precoci, che senza l’attenzione medica appropriata, è
possibile si cristallizzino e possano portare a cecità.
D. – Quindi si sentono
ancora gli strascichi dell’esplosione di Chernobyl?
R. – Sì, senza ombra di
dubbio. Siamo alla terza generazione e considerando che la radioattività si potrà
trovare ancora tra 200, 300 anni, è facile immaginare che questa gente vivrà ancora
su questo territorio. Noi stessi che ci rechiamo ogni anno in Bielorussia siamo testimoni
concreti di quello che si respira, si mangia e si beve in questo posto: è tutto contaminato.
E’ anche certo, dal punto di vista sanitario, che in questi bambini si cominci a sviluppare
nell’organismo un qualcosa che combatte, in maniera autonoma, l’assunzione del Cs
137, della grafite, del piombo. Certo non possiamo strapparli al loro territorio.
Cerchiamo di poter infondere la cultura del loro Paese, cercando di dare loro il senso
che il nostro è solo un appoggio temporaneo.
D. – La crisi che stiamo vivendo
sta pesando sull’accoglienza da parte delle famiglie?
R. – Purtroppo in questi
ultimi anni le accoglienze sono state decimate, se non dimezzate. La crisi la paga
direttamente la solidarietà. Purtroppo i costi sono abbastanza elevati, perché a carico
della famiglia ospitante ci sono i costi aerei e di trasporto nel territorio bielorusso.
Stiamo, tuttavia, cercando di trovare una soluzione per quanto riguarda il costo aereo
e ridurre i prezzi. In territorio bielorusso abbiamo avuto un incontro con le autorità
e con la nostra ambasciata italiana a Minsk, nel quale abbiamo rivolto la preghiera
di aiutarci a trovare un sistema per poter indurre questo Paese a riconoscere almeno
uno sconto piuttosto importante per quei voli di carattere umanitario.