Riprendono i negoziati tra Nord e Sud Sudan, in primo piano la gestione del petrolio
Il Sudan continuerà a permettere il transito del greggio proveniente da Juba attraverso
gli oleodotti del Nord. Lo hanno deciso ieri in un incontro a Khartoum il presidente
sudsudanese Salva Kiir e il suo omologo del Nord, Omar al-Bashir. Ma il petrolio è
solo una delle cause del perdurare delle violenze tra i due Paesi; Davide Pagnanelli
ne ha parlato con Anna Maria Bono, docente di storia dei Paesi e delle istituzioni
africane presso l’Università di Torino:.
R. - I due fattori
di crisi principali sono da un lato i proventi del petrolio: con l’indipendenza del
Sud Sudan gran parte - tre quarti almeno del petrolio estratto dal Sudan, prima unito
- sono diventati Sud sudanesi; l’altro fattore di crisi è l’aiuto di cui i due Paesi
si accusano reciprocamente ai gruppi di ex militari e di combattenti che nei due Paesi
insidiano i governi. Su questo ci sono stati e continuano ad esserci tentativi di
accordo mediati dalla comunità internazionale che purtroppo, puntualmente sono stati
in questi due anni violati e traditi.
D. – Proprio riguardo la collaborazione
per il petrolio, quanto siamo lontani da una soluzione?
R. – L’ideale sarebbe
che i due governi si accordassero per una spartizione di questi proventi che soddisfacessero
entrambi i Paesi. Una soluzione non sembra verosimile: il Sud Sudan sta cercando di
trovare un’alternativa attraverso la costruzione di un oleodotto che porti il petrolio
non più verso Nord, ma presumibilmente potenziando un porto esistente già in Kenya.
D. – La costruzione dell’oleodotto non aggraverebbe la crisi tra i due Paesi?
R.
– I problemi sono probabilmente anche l’eventualità dell’insorgere di conflitti che
prima ancora pongono problemi logistici ed ambientali, perché per esempio la costruzione
di un grande terminale sta allarmando gli ambientalisti e non a torto. Si tratterebbe
di sconvolgere un’area delle più incontaminate ed anche in termini di attrattiva turistica
più interessanti di tutto l’Est Africa.
D. – Quali sono le differenze culturali
che hanno portato alla necessità della creazione di uno Stato del Sud Sudan?
R.
– Il Nord del Sudan è popolato da etnie di religione prevalentemente islamica ed in
parte di origine – anche se remota – araba. Nel Sud abitano popolazioni bantu prevalentemente
di religione cristiana, oppure animisti. Questo ha scatenato scontri che man mano
sono degenerati in una vera e propria guerra civile, quando l’attuale presidente Al-Bashir
ha deciso di applicare più rigorosamente la legge coranica e di estenderla al Sud.
Nel frattempo, si sono aggiunti altri fattori, prima di tutto la scoperta di questi
immensi giacimenti di petrolio, situati nel centro-sud del Paese. Altro polo critico
del Sudan - quand’era un unico Stato - è stato per anni e continua ad essere il Darfur.
Purtroppo anche nel Darfur, in questi ultimi mesi, si è riacceso un conflitto che
effettivamente si era ridotto ed attenuato. Questo è un altro dei fattori di crisi,
motivi di preoccupazione del governo del Sudan, oltre al fatto che una serie di regioni
sono in mano a movimenti anti governativi armati.