Mosca rileva missili nel Mediterraneo, non è un attacco. P. Samir: c'è solo il dialogo
Nella crisi siriana, mentre dalla notte si registrano bombardamenti a Damasco, si
è parlato in mattinata di missili nel Mediterraneo orientale intercettati da Mosca.
Solo dopo qualche ora, Israele ha annunciato di avere effettuato un test missilistico
congiunto con gli Usa. Da parte sua, la Marina militare statunitense ha negato qualunque
lancio di missili. Intanto, intensi bombardamenti di artiglieria e di aviazione dell’esercito
di Assad hanno colpito dalla notte all'alba sobborghi di Damasco controllati dai ribelli,
in alcune zone colpite il 21 agosto scorso dal presunto attacco chimico. In primo
piano sui media resta l’appello alla pace e al dialogo lanciato domenica da Papa Francesco.
Fabio Colagrande ne ha parlato con padreSamirKhalilSamir, docente di Storia della Cultura araba e islamologia all'Università Saint
Joseph di Beirut:
R. – La lotta
in Siria ormai non è la lotta della democrazia contro l’autocrazia: era così all’inizio,
contro la dittatura per ottenere democrazia e libertà. Oggigiorno, è diventata una
lotta del campo sunnita – rappresentato dai Paesi arabi della penisola arabica, con
l’aiuto di altri Paesi e l’aiuto, se possiamo considerarlo tale, di tutti quei movimenti
fondamentalisti terroristi – contro il regime. Regime all'incirca sciita, perché gli
alawiti sono solo una parte. Riemergono così circa 14 secoli di odio. Il problema
non è religioso, per niente.
D. – Quanto è importante questo appello di pace
del Papa e quali risultati potrà avere?
R. – In realtà, il Papa riassume ciò
che ogni persona ragionevole pensa: la guerra porta guerra, la violenza suscita violenza
e non finirà mai. Meglio il dialogo anche se faticoso, anche se ognuno deve fare dei
passi verso l’altro e deve rinunciare a una parte di ciò che vede come giusto. Meglio
questo che una guerra: già ci sono più di 100 mila morti, non si può ancora pianificare
più guerra nella speranza che porti pace. È impossibile, perché in Siria adesso le
due parti si trovano a un punto tale di odio reciproco che ognuno teme di poter cedere
e così di sparire, essere ucciso assieme alla comunità e i suoi seguaci. Non c’è altra
soluzione che la preghiera ed il digiuno, come dice il Vangelo e come ha detto il
Santo Padre, nella dimensione dell’umanità che ha un po’ di spiritualità. E dall’altra
parte c’è il dialogo: è stato pianificato per la settimana prossima un dibattito con
delle possibili concessioni mutue.
D. – E’ davvero perseguibile la via del
negoziato? Alcuni dicono che il negoziato ormai non ha più sbocchi…
R. – Il
negoziato è l’unica via. Che sia difficile è cosa certa. L’altra via sarebbe sterminare
tutti gli oppositori. L’unica via quindi è il negoziato, ovvero la presenza di un
“arbitro”: la comunità internazionale – rappresentata dall’Onu e da alcuni Paesi non
tutti dello stesso “campo” – che propone cose ragionevoli, soluzioni che non vanno
totalmente da una parte o dall’altra. Ogni parte sceglie i suoi rappresentanti più
“ragionevoli”, più aperti all’altro e una commissione internazionale fa da guida.
Io non conosco altra soluzione.
D. – Come sono coinvolti oggi i cristiani
della Siria in questa crisi e quale può essere il loro contributo alla pace?
R.
– Prima di tutto, cominciare a fare in Siria questo atto spirituale del digiuno e
della preghiera. Più ci saranno adesioni, più sarà un’atmosfera verso la pace. La
Siria ha una tradizione di rispetto perché lì c’era un regime sia baasista che laico.
Penso che i cristiani siano visti da tutti quanti come i più “pacificanti”.
Intanto,
i morti nel conflitto in Siria sono ormai oltre 100 mila e i rifugiati due milioni.
Di questi ben un milione e 800 mila sono fuggiti solo negli ultimi 12 mesi, facendo
registrare una drammatica impennata. Donne, bambini e uomini che attraversano i confini
in uscita dalla Siria spesso portando con sé poco più dei vestiti che indossano. Alcuni
arrivano fino in Sicilia, come conferma, nell’intervista di Fabio Colagrande,
Viviana Valastro, coordinatrice dei programmi di Save The Children:
R. – Sì, abbiamo
avuto l’intensificarsi degli arrivi, in particolare sulla provincia di Siracusa. A
volte Siracusa città – quindi con arrivo direttamente al porto attraverso la scorta
del natante da parte della Guardia Costiera e della Finanza – altre volte, invece,
arrivi proprio spontanei dell’imbarcazione sulla costa.
D. – Che tipo di accoglienza
Save the children cerca di assicurare in questi vari punti di sbarco?
R. –
In particolare, noi cerchiamo di garantire che i minori siano, sin dall’inizio, assistiti
in modo adeguato e ci preoccupiamo, per esempio, del fatto che sia garantito il nucleo
familiare. C’è il rischio infatti che – soprattutto quando i migranti sono tanti –
durante la fase dell’identificazione il nucleo familiare venga diviso. Una caratteristica
proprio di questi arrivi di siriani, che ha impressionato anche molto me personalmente
che ero in questi giorni a Siracusa, è l’arrivo di nuclei familiari composti a volte
dai nonni fino ai nipotini.
D. – Arrivano dalla Siria direttamente o da Paesi
vicini, confinanti?
R. – Ci sono sia persone che sono partite direttamente
dalla Siria, sia persone che sono riuscite ad arrivare in Egitto, al Cairo in particolare,
e poi dal Cairo si sono spostate sulla costa egiziana. Quella che è un’impressione,
sulla base appunto di quello che i migranti raccontano, è che possono esserci dei
passaggi su varie imbarcazioni: non necessariamente quella che è arrivata è la stessa
imbarcazione partita all’inizio, e quindi anche con gli stessi migranti partiti da
un unico posto, ma pare che ci siano più passaggi nel corso della navigazione.