A Venezia "Philomena", storia vera di una ragazza madre, apre riflessione piu che
temute polemiche
Proiettato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia uno dei film più attesi,
“Philomena” del regista britannico Stephen Frears, ispirato alla vera storia dell’oggi
ottantenne irlandese Philomena Lee. Un remoto tragico passato, un recente perdono,
due visioni del mondo e della vita, fede e laicità, una Chiesa sulla strada della
purificazione e del dialogo con il mondo moderno. Un film su cui riflettere. Il servizio
di Luca Pellegrini.
Forse anche
nel cinema, così come dimostra il lavoro di alcuni suoi autori più amati, è giunto
il momento di disinnescare le polemiche. E’ giusto e storicamente doveroso affrontare
le piaghe della Chiesa e tergerle, come accadde alle ferite di chi stava sulla croce,
recuperando una memoria che sia di esempio, monito e purificazione per tutti. Stephen
Frears, pur nell’indipendenza del suo pensiero e nella ribadita adesione a una ferma
laicità - con la quale sempre dialogare nel reciproco rispetto - porta in concorso
a Venezia Philomena, riceve tributi e applausi incondizionati, prudentemente
anche da parte della stampa cattolica, pur se proprio gli anni post-bellici nella
tribolata Irlanda presentavano ancora tanti lati oscuri e tragici, frutto di un passato
saldamente ancorato alla tradizione e talvolta non esente, purtroppo, dal fanatismo
religioso e dal rigorismo morale. Il film è spirato alla vera storia di Philomena
Lee, ragazza madre che viene sottratta al probabile destino di un aborto, inglobata
nel convitto di suore tristemente famose per il loro rapporto ben poco cristiano con
tante ragazze. Condotte al parto con mezzi sommari, i neonati erano poi strappati
alle madri e affidati a ricchi, prevalentemente americani. Accadde così, ma allo scoccare
dei cinquant’anni del figlio perduto, la madre decide di mettersi alla sua ricerca,
aiutata da un cinico giornalista. In America scoprirà della sua morte in giovane età
e poi altre tristi verità, delle quali ferisce soprattutto il suo pervicace e difensivo
occultamento da parte delle religiose. Due mondi si fronteggiano, e il più delle volte
non si capiscono: quello della donna, ancorato ancora e sempre a une fede semplice
e luminosa che rimane il suo inossidabile sostegno; quello dell’uomo, che tra derisione
e incredulità ben manifestate, non comprende i percorsi di chi per i suoi aguzzini
invoca il perdono. Per Philomena è l’unico, doveroso approdo, perché, come dice agli
attoniti suoi interlocutori, “vivere nella rabbia è sfibrante”. Una regia prudente,
equilibrata, forte di una sceneggiatura impeccabile, condita di umorismo che stempera
il dolore e il possibile orrore, Judi Dench che si conferma come una delle più grandi
attrici viventi, un cast che è un vero gioiello. Tutto concorre a fare del film non
lo scandalo che forse tanti cercavano per riaprire battaglie che si sperano oggi finalmente
fuori moda, ma una compiuta rivisitazione di un difficile momento storico e di un
percorso umano e cristiano che brilla di esempio per tanti e che per questo, com’è
stato chiesto dagli artisti presenti a Venezia, non si dovrebbe evitare. Con spirito
critico e senza paura. Perché oggi i tempi sono maturi.