Obama: deciso l'attacco militare. L'analista: Usa capaci di sostenere costi di un
attacco, Ue no
Gli Stati Unti hanno deciso l’attacco militare alla Siria. Lo ha detto il presidente
Obama. Dure le reazioni di Russia e Iran in sostegno del governo siriano. Il servizio
di Marina Calculli:
L'attacco con armi chimiche a Damasco il 21 agosto
e' stato il peggiore del XXI secolo, "per questo ho deciso che gli Usa effettueranno
un intervento armato limitato in Siria senza truppe sul terreno". Cosi' Barack Obama
nella sua dichiarazione sulla Siria alla Casa Bianca. "Mi sto preparando a dare l'ordine",
ha aggiunto, precisando che l'attacco potrebbe essere domani, fra una settimana o
un mese e sara' limitato nella portata. Il presidente ha annunciato che chiedera'
al Congresso il via libera per l'azione milliare contro la Siria, e il voto ci sarà
dopo il 9 settembre. Con il no in Consiglio di Sicurezza di Cina, Russia, cui si è
aggiunta la Gran Bretagna dopo la bocciatura del parlamento nazionale, America e Francia
avvieranno un binomio unilaterale. Si svincolano invece Germania e Italia per cui
impossibile un’azione senza il beneplacito dell’ONU. Durissima la reazione di Mosca:
le accuse al regime sono infondate e insensate. Obama pensi a quanti nuovi morti provocherà.
Anche l’Iran, il principale alleato di Assad nella regione mette in guardia il nemico
storico: l’entità sionista e l’Occidente pagheranno un prezzo altissimo. Obama certo
parla di “attacco limitato” ma intanto in Medio Oriente l’opinione comune è che il
paventato intervento incendierà la regione.
Ma sui costi di una guerra Salvatore
Sabatino ne ha parlato con Carlo Altomonte, docente di Economia Politica presso
l’Università Bocconi di Milano:
R. – Bisogna
distinguere tra Stati Uniti ed Europa. Secondo me, gli Stati Uniti possono sostenere
una guerra, perché la situazione americana è migliore, soprattutto perché in questo
momento hanno riserve petrolifere tali da garantire una certa autonomia in futuro.
Quindi, risentirebbero meno di aumenti del costo del petrolio. L’Europa, secondo me,
non è invece in condizione di dichiarare guerra a nessuno.
D. – Forse, anche
per questo c’è stato questo passo indietro di Londra e questa posizione altalenante
di Parigi…
R. – Sì. In effetti il fronte europeo, come sempre, non è unito,
ma in particolare in questo momento Germania e Italia sono sicuramente sulla difensiva,
anche perché vedono oggettivamente il costo economico di un intervento che al momento
non ha un orizzonte chiaro, né temporale, né soprattutto politico.
D. – Se
gli Stati uniti ce la fanno a sostenere un conflitto, perché aleggia su Washington
lo spettro dell’Iraq? Ricordiamo che è stato uno dei motivi scatenanti della crisi
economica…
R. – Il punto, secondo me, è esclusivamente politico, nel senso
che da un punto di vista economico quello che dovrebbe essere un intervento in questo
momento – come sempre limitato, pensiamo al caso Libia – è sostenibile. Il punto è
politico: abbatti un regime per favorire l’opposizione. In questo momento, la forza
di opposizione più forte in Siria, secondo molti analisti, è una fazione riconducibile
ad Al Qaeda. Quindi, da un punto di vista politico non è chiaro il do ut des
americano. Per cui, secondo me, il tema americano è solo politico non economico in
questo momento.
D. – Di fronte a un disimpegno americano a lungo termine in
Medio Oriente, l’Europa, in particolare la Francia, sta giocando invece la carta dell’interventismo.
Cosa ne verrebbe a guadagnare in termini economici?
R. – Questo, secondo me,
è un punto centrale, nel senso che – come dicevo – gli Stati Uniti oggi hanno quantità
di riserve di petrolio e gas forse solo secondi all’Arabia Saudita nel mondo. Quindi,
di fatto, noi dobbiamo iniziare a entrare nell’ottica di Stati Uniti autonomi sotto
il punto di vista della politica energetica e quindi con un graduale disimpegno possibile
dal Medio Oriente. Questo lascia evidentemente esposta l’Europa, obbligandola a un
ruolo da protagonista nel Mediterraneo. Non sono sicuro che la strada francese – se
vogliamo isolata e in qualche modo interventista – sia quella migliore. Auspicherei
che, come per le questioni economiche, si inizi ad avere un consenso politico europeo
forte e una strategia comune sulla strada della politica estera.
D. – La destabilizzazione
dello scacchiere mediorientale ha immediate ripercussioni anche sulle quotazioni del
petrolio che, in queste settimane, hanno subito enormi aumenti. Secondo lei, è una
conseguenza inevitabile o è pura e mera speculazione da parte dei Paesi produttori?
R.
– No, temo che la conseguenza sia abbastanza inevitabile, perché le condizioni dell’offerta
petrolifera in questo momento sono abbastanza strette, nel senso che non c’è capacità
in eccesso molto ampia. A fronte di una crescita economica sicuramente meno forte
che in passato dei Paesi emergenti – ma comunque ancora sostenuta e quindi di domanda
dei prodotti petroliferi ancora in crescita – ogni destabilizzazione dello scacchiere
mediorientale porta gioco forza a un aumento delle quotazioni ben al di là dei cento
dollari al barile. Questa è una cattiva notizia per l’economia mondiale, ripeto, in
particolare secondo me per quella europea.