2013-08-31 15:10:56

Jesus Christ Superstar, 40 anni di Rock e Vangelo che continuano a parlare a credenti e non


RealAudioMP3 Un'opera cinematografica che, a quarant'anni di distanza, continua ad avere un valore particolare, anche per la cultura cattolica, soprattutto dal punto di vista pastorale. E' Jesus Christ Superstar, il film che nel 1973 il regista Norman Jewison realizzò portando sul grande schermo l'opera-rock omonima di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice. "E' un'opera che ha saputo mediare con un linguaggio musicale di grande presa, specie per il pubblico più giovane, le vicende evangeliche", spiega don Luca Saraceno, docente di filosofia all'Istituto Superiore di Scienze Religiose San Metodio, di Siracusa. "Associare rock e Vangelo fu l'intuizione, senz'altro provocatoria, ma assolutamente vincente di quell'opera". "Io credo - spiega don Luca - che si debba sempre saper mediare la condiscendenza del linguaggio di Dio, di cui parla il Concilio, con le parole degli uomini. Il Vangelo va raccontato, anche, attraverso i linguaggi che gli uomini possono comprendere". "Infatti - prosegue il sacerdote - il segreto di quell'opera, che l'ha resa potremmo dire immortale, fu proprio la capacità di mettere in collegamento l'anima credente e quella non-credente dell'uomo". "Sicuramente - spiega il docente di filosofia - c'è una grande distanza tra il Gesù dei Vangeli, il Gesù storico e quello interpretato nel film da Ted Neeley, che duetta magistralmente con il Giuda di Carl Anderson. Gli autori del musical hanno disegnato un Cristo esclusivamente umano, alle prese con il pericolo di diventare un 'superstar', più importante delle cose che cerca di insegnare". "Eppure, soprattutto nell'ultima scena del film, quando Giuda e la Maddalena, alla luce del tramonto, prima di risalire sul pullman si voltano a guardare il crocifisso, come se qualcosa fosse davvero successo, il regista sembra dirci che solo vivendo fino in fondo la nostra umanità possiamo ritrovare Dio". "In conclusione un film che i cattolici dovrebbero rivedere, perché mette in collegamento la nostra anima credente con la nostra anima pensante. E il pensiero aiuta sempre chi crede a rivedere le ragioni del proprio credere". (a cura di Fabio Colagrande)







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