Eurozona: disoccupazione giovanile record, uno su quattro senza lavoro
La disoccupazione nell’Eurozona è stabile intorno al 12 per cento, ma cresce la preoccupazione
per la situazione giovanile. Secondo gli ultimi dati Eurostat, nel mese di luglio
era senza lavoro il 24 per cento dei giovani europei, un numero in lieve crescita
rispetto a giugno. Particolarmente grave, poi la situazione della Spagna, dove il
dato raggiunge il 56%. Nell’intervista di Davide Maggiore, Tito Boeri,
professore di Economia all’Università ‘Bocconi’ di Milano si è soffermato sulle cause
di questo fenomeno:
R. – Durante
le recessioni, la disoccupazione giovanile tende ad aumentare sempre più di quanto
avvenga per le altre fasce d’età. Normalmente i datori di lavoro reagiscono alla crisi
congelando come prima cosa le assunzioni. Le prime vittime di questo sono i giovani.
Ci sono sicuramente manifestazioni particolarmente accentuate di questo problema,
e mi riferisco soprattutto al caso italiano, dove il rapporto tra i disoccupati che
hanno meno di 25 anni di età e i disoccupati nelle altre fasce di età è di circa quattro
a uno. Non è così neanche in Spagna: bisogna assolutamente intervenire perché va molto
al di là di una recessione. Ci sono problemi strutturali per i giovani …
D.
– Quali potrebbero essere delle ipotesi di intervento, le aree su cui intervenire
e le criticità da affrontare?
R. – Io credo che una prima cosa da fare sia
quella di guardare con attenzione le differenze che ci sono tra i diversi Paesi europei.
Abbiamo, infatti, ad esempio l’Austria o la Germania, e la stessa Svizzera in cui
la disoccupazione giovanile è molto più bassa, anche in rapporto alla disoccupazione
con le altre fasce d’età. Questi Paesi sono Paesi che hanno tutti avviato da tempo
un sistema di formazione professionale di qualità, che quindi si estende al di là
delle scuole secondarie e arriva fino all’educazione terziaria, che a mio giudizio
è un modello molto interessante da studiare, perché dà la possibilità a molti giovani
di poter in qualche modo investire di più in capitale umano senza dover chiedere a
queste persone investimenti molto pesanti.
D. – Tornando a livello europeo:
esistono aree di impiego in cui i giovani possano investire per invertire questa tendenza?
Aree in cui ci sia ancora richiesta di lavoro?
R. – Credo che i giovani debbano
pensare soprattutto a guardare ai servizi, soprattutto a quelli che siano a maggiore
contenuto di capitale umano. Avremo sicuramente una domanda forte nei servizi sanitari,
che deriverà anche dall’invecchiamento della popolazione, legati alla salute; e qui
si tratta di acquisire competenze anche molto elevate. Poi avremo sicuramente una
domanda di servizi alle imprese, su cui i Paesi avanzati costruiranno i loro vantaggi
comparati a livello internazionale …
D. – Comunque, la maggior parte del lavoro
dei giovani è un lavoro con contratti precari: questo, a lungo termine, può avere
delle conseguenze?
R. – Certamente! Purtroppo, questo è un altro problema di
Paesi come l’Italia, la Spagna, la stessa Svezia: il fatto di avere questo canale
d’ingresso principale per i giovani – cioè quello della temporaneità –ha conseguenze
molto negative, perché spinge a ridurre qualsiasi investimento in capitale umano all’interno
dell’impresa.
D. – Questo magari porta anche ad un ruolo accresciuto delle
famiglie, su cui ricade anche il peso di giovani che spesso non sono in grado di mantenersi
da soli …
R. – I lavoratori che hanno questi contratti, anche nei Paesi dove
esistono dei sistemi di protezione sociale abbastanza sviluppati, non riescono – data
la breve durata dei loro impieghi – ad accumulare quei periodi contributivi che danno
loro accesso alle assicurazioni sociali, e quando poi le condizioni di disagio occupazionale
si estendono è chiaro che anche la famiglia non può più di tanto supportare. Qui si
tratta di fare proprio delle scelte pubbliche, cioè avere una classe politica e la
classe dirigente, che nelle loro scelte pensino moltissimo a che Paese noi stiamo
consegnando ai nostri figli. …