Siria. Gli Usa pronti ad intervenire da soli dopo il no del parlamento inglese a Cameron
Gli Stati Uniti sono pronti ad attaccare la Siria da soli se necessario. Dopo lo schiaffo
del parlamento inglese al primo ministro David Cameron, con la bocciatura per 13 voti
della mozione per un intervento in Siria, la Casa Bianca lascia intendere che gli
Usa potrebbero agire da soli, anche perche' si tratterebbe di un'operazione limitata
per la quale non sarebbe necessaria una coalizione. Il presidente americano Barack
Obama non ha ancora preso una decisione e continua a valutare le opzioni a disposizione.
Ma il no dei Comuni sembra incrinare l'asse fra Stati Uniti e l'alleato speciale inglese,
che li ha affiancati in ogni importante operazione militare intrapresa da Washington,
dall'invasione di Panama del 1989 in poi.
''Continueremo a consultarci con
il governo inglese, uno dei nostri alleati piu' vicini - afferma la Casa Bianca dopo
il voto inglese -. Le decisioni del presidente Obama saranno guidate da quelli che
sono i migliori interessi degli Stati Uniti. Il presidente ritiene che ci siano in
gioco interessi per gli Usa e che i paesi che violano le norme sul divieto di armi
chimiche devono essere ritenuti responsabili''. E mentre in centinaia scendono in
piazza a New York e Washington per manifestare contro un intervento in Siria ''costruito
su bugie'', la Casa Bianca aggiorna il Congresso, offrendo ai leader informazioni
non classificate sulle prove raccolte che - secondo l'amministrazione - proverebbero
la responsabilita' di Assad. I 15 membri del Congresso, incluso lo speaker della Camera
John Boehner, ascoltano per 90 minuti gli aggiornamenti e le motivazioni dell'amministrazione
per un possibile intervento.
Secondo quanto riferito al termine della conference
call, l'amministrazione ha ribadito di non avere dubbi sull'uso di armi chimiche
da parte di Assad e questo anche sulla base delle comunicazioni intercettate fra alti
funzionari del regime di Assad in merito a un attacco. Parlamentari e senatori si
mostrano, al termine del confronto, spaccati fra chi sostiene la necessita' di agire,
chi piu' cautamente chiede ulteriori prove e alcuni che ritengono sia necessario aiutare
i ribelli mentre si tenta di costruire una coalizione internazionale. Molti restano
convinti che ci sia ancora da fare per l'amministrazione per convincere il pubblico
su un intervento.
Il rapporto dell'intelligence che mostra le responsabilita'
di Assad dovrebbe essere diffuso nelle prossime ore. Nessuna informazione - riferiscono
i parlamentari - e' stata offerta su un tempistica di un eventuale attacco e su chi
ne paghera' i costi. Secondo indiscrezioni, un'eventuale misura sara' presa una volta
che gli esperti dell'Onu lasceranno la Siria. Gli ispettori delle Nazioni Uniti lasceranno
il paese sabato.
Ma quando è possibile un intervento armato sotto egida Onu?
Massimiliano Menichetti lo ha chiesto a Luisa Vierucci ricercatrice
presso il Dipartimento di scienze giuridiche all’università di Firenze:
R. - Un intervento
militare sotto l’egida delle Nazioni Uniti è possibile solo qualora ricorrano i presupposti
previsti nel noto Capitolo 7 della Carta delle Nazioni Unite: quindi, in particolare,
quando siamo in presenza di un atto di aggressione o di una minaccia alla pace. In
questo caso l’organo supremo delle Nazioni Unite - quindi il Consiglio di sicurezza
- ha il potere di adottare una Risoluzione con la quale o decide di intervenire direttamente
con i propri mezzi militari contro lo Stato, oppure autorizza altri Stati a porre
in essere un’azione di natura militare.
D. - Quando parliamo di minaccia alla
pace, parliamo solo di una minaccia alla pace internazionale, o si guarda anche la
realtà interna di un Paese?
R. - La prassi internazionale, dal momento dell’adozione
della Carta delle Nazioni Unite e cioè dal ’45 ad oggi, ha subito una grossa evoluzione:
se nel ’45 per minaccia alla pace si intendeva solo la minaccia alla pace internazionale
ad oggi non vi è dubbio che anche situazioni di minaccia alla pace interna - e con
questo “interno” intendo gravi violazioni dei diritti umani che siano compiuti all’interno
di un singolo Paese - si possano qualificare come minaccia alla pace, tali da consentire
l’intervento del Consiglio di sicurezza.
D. - In questo senso dunque l’aspetto
umanitario viene preso in considerazione?
R. – Certamente qui abbiamo un precedente
molto recente: l’intervento in Libia - quello del marzo del 2011 - in cui le Nazioni
Unite, sempre il Consiglio di sicurezza, avendo riscontrato violazioni gravissime
e ripetute dei diritti umani, ha adottato una Risoluzione con la quale ha autorizzato
alcuni Stati - gli "Stati volenterosi" - ad intervenire a tutela della popolazione
civile contro i gravi abusi che stava subendo.
D. - Francia e Gran Bretagna
hanno presentato una bozza di Risoluzione per un intervento armato che, di fatto,
è stato bocciato: il riferimento è sempre al Capitolo 7 della Carta dell’Onu, ovvero
quello che ribadisce “L’azione rispetto alle minacce alla pace, alle violazioni della
pace e agli atti di aggressione”. Perché questo riferimento, secondo lei, e perché
questa decisione?
R. - Questa decisione, secondo me, non è giustificabile in
punto di diritto. Come dicevo sono numerosi i precedenti simili a quelli dell’attuale
situazione siriana, in cui si stavano quindi compiendo gravi violazioni dei diritti
umani e in cui una situazione simile a quella siriana è stata definita come minaccia
alla pace dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il fatto che ad oggi, invece,
la situazione siriana non venga qualificata da alcuni Stati come “minaccia alla pace”
è basata su valutazioni di natura politica e non di natura giuridica.
D. -
Dal punto di vista sempre del diritto internazionale, come valutare invece un intervento
unilaterale o di alcuni Stati in questa crisi?
R. - Un intervento senza egida
Onu sarebbe legittimo solamente qualora si basasse sulla legittima difesa, ma la legittima
difesa è esperibile solo qualora ci sia una aggressione armata di uno Stato contro
un altro Stato: un esempio è l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq nel 1990. Non
è sicuramente questo il caso siriano ad oggi. Un intervento unilaterale - cioè senza
egida Onu - sarebbe sicuramente illegittimo dal punto di vista del diritto internazionale.
D.
- Eppure la storia - anche recente - ci racconta molti episodi di questo tipo e cioè
di attacchi unilaterali: il caso iracheno, soltanto per fare un esempio…
R.
- Direi che i precedenti più recenti sono il caso del Kosovo, dove c’è stata una legittimazione
del Consiglio di Sicurezza ex-post; e il caso, appunto, iracheno. Ma non è che la
violazione del diritto porta, a lungo andare, ad una legittimazione di certe azioni.
Quindi direi che ad oggi i due precedenti del Kosovo e dell’Iraq, sono rimasti non
solo isolati, ma talmente criticati da molti Stati e anche - devo dire - dalla dottrina
giuridica, per cui non si può parlare della creazione o dello svilupparsi di una norma
che legittima l’intervento unilaterale, senza quindi alcuna autorizzazione da parte
del Consiglio di sicurezza, anche in caso di gravi violazioni dei diritti umani.