Siria: la comunità internazionale prende tempo. Nuova riunione del Consiglio di sicurezza
La Siria non sarà un altro Iraq: le parole pronunciate da Obama prendono sempre più
forma. E la comunità internazionale ferma l’orologio dell’attacco su Damasco: senza
copertura Onu non sembra dunque più scontato. Da Londra Cameron ammette la mancanza
di certezza che dietro all’uso di armi chimiche vi sia il regime, prudenza anche da
Hollande. Francesca Sabatinelli:
Nuovo summit
dei cinque del Consiglio di sicurezza. E ancora una volta la Siria sul tavolo, dopo
il nulla di fatto di ieri, con Russia e Cina ferme sul no a un intervento che, ha
ripetuto oggi Pechino, destabilizzerebbe l’intera regione. Riguadagnare la strada
della soluzione politica è l’idea che torna a insinuarsi anche tra le fila dei forti
sostenitori di un attacco, nonostante davanti alle coste siriane si stia intensificando
il dispositivo di fuoco di Francia, Usa e Gran Bretagna. La notte scorsa Obama aveva
spiegato: non sono state prese decisioni, non vogliamo un altro Iraq. In qualche modo
si registra una sorta di prudenza anche da Londra, il premier Cameron difensore dell’azione
di forza chiarisce: impensabile un attacco con uno schiacciante no al Consiglio di
sicurezza. Di soluzione politica oggi ha parlato anche il francese Hollande, mentre
l’Italia ha ripetuto il suo no all’intervento senza l’Onu. Un no alla partecipazione
all’attacco è arrivato da Ottawa, nonostante il Canada sia tradizionale alleato di
Washington. Così come a chiedere prudenza è tutto il mondo cristiano dell’area. Oggi
un appello è arrivato dal mons. Fouad Twal, patriarca latino di Gerusalemme che temendo
un’escalation di violenza in tutta la regione, ha chiesto alle parti di non dimenticare
l’aspetto umano nelle loro decisioni. Gli ispettori del Palazzo di Vetro finiranno
il loro lavoro sabato, lasceranno poi il Paese per riferire al segretario generale
Ban Ki Moon. Merkel e Putin aspettano di esaminare il rapporto degli ispettori. Si
prende quindi tempo, e mentre Assad sfida con le parole: l’aggressione ci rafforzerà,
avrebbe detto, nel paese continua la sofferenza dei civili senza precedenti, denuncia
la Croce Rossa che parla di immensi e crescenti bisogni umanitari.
Ma quando
è possibile un intervento armato sotto egida Onu? Massimiliano Menichetti lo
ha chiesto a Luisa Vierucci ricercatrice presso il Dipartimento di scienze
giuridiche all’università di Firenze:
R. - Un intervento
militare sotto l’egida delle Nazioni Uniti è possibile solo qualora ricorrano i presupposti
previsti nel noto Capitolo 7 della Carta delle Nazioni Unite: quindi, in particolare,
quando siamo in presenza di un atto di aggressione o di una minaccia alla pace. In
questo caso l’organo supremo delle Nazioni Unite - quindi il Consiglio di sicurezza
- ha il potere di adottare una Risoluzione con la quale o decide di intervenire direttamente
con i propri mezzi militari contro lo Stato, oppure autorizza altri Stati a porre
in essere un’azione di natura militare.
D. - Quando parliamo di minaccia alla
pace, parliamo solo di una minaccia alla pace internazionale, o si guarda anche la
realtà interna di un Paese?
R. - La prassi internazionale, dal momento dell’adozione
della Carta delle Nazioni Unite e cioè dal ’45 ad oggi, ha subito una grossa evoluzione:
se nel ’45 per minaccia alla pace si intendeva solo la minaccia alla pace internazionale
ad oggi non vi è dubbio che anche situazioni di minaccia alla pace interna - e con
questo “interno” intendo gravi violazioni dei diritti umani che siano compiuti all’interno
di un singolo Paese - si possano qualificare come minaccia alla pace, tali da consentire
l’intervento del Consiglio di sicurezza.
D. - In questo senso dunque l’aspetto
umanitario viene preso in considerazione?
R. – Certamente qui abbiamo un precedente
molto recente: l’intervento in Libia - quello del marzo del 2011 - in cui le Nazioni
Unite, sempre il Consiglio di sicurezza, avendo riscontrato violazioni gravissime
e ripetute dei diritti umani, ha adottato una Risoluzione con la quale ha autorizzato
alcuni Stati - gli "Stati volenterosi" - ad intervenire a tutela della popolazione
civile contro i gravi abusi che stava subendo.
D. - Francia e Gran Bretagna
hanno presentato una bozza di Risoluzione per un intervento armato che, di fatto,
è stato bocciato: il riferimento è sempre al Capitolo 7 della Carta dell’Onu, ovvero
quello che ribadisce “L’azione rispetto alle minacce alla pace, alle violazioni della
pace e agli atti di aggressione”. Perché questo riferimento, secondo lei, e perché
questa decisione?
R. - Questa decisione, secondo me, non è giustificabile in
punto di diritto. Come dicevo sono numerosi i precedenti simili a quelli dell’attuale
situazione siriana, in cui si stavano quindi compiendo gravi violazioni dei diritti
umani e in cui una situazione simile a quella siriana è stata definita come minaccia
alla pace dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il fatto che ad oggi, invece,
la situazione siriana non venga qualificata da alcuni Stati come “minaccia alla pace”
è basata su valutazioni di natura politica e non di natura giuridica.
D. -
Dal punto di vista sempre del diritto internazionale, come valutare invece un intervento
unilaterale o di alcuni Stati in questa crisi?
R. - Un intervento senza egida
Onu sarebbe legittimo solamente qualora si basasse sulla legittima difesa, ma la legittima
difesa è esperibile solo qualora ci sia una aggressione armata di uno Stato contro
un altro Stato: un esempio è l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq nel 1990. Non
è sicuramente questo il caso siriano ad oggi. Un intervento unilaterale - cioè senza
egida Onu - sarebbe sicuramente illegittimo dal punto di vista del diritto internazionale.
D.
- Eppure la storia - anche recente - ci racconta molti episodi di questo tipo e cioè
di attacchi unilaterali: il caso iracheno, soltanto per fare un esempio…
R.
- Direi che i precedenti più recenti sono il caso del Kosovo, dove c’è stata una legittimazione
del Consiglio di Sicurezza ex-post; e il caso, appunto, iracheno. Ma non è che la
violazione del diritto porta, a lungo andare, ad una legittimazione di certe azioni.
Quindi direi che ad oggi i due precedenti del Kosovo e dell’Iraq, sono rimasti non
solo isolati, ma talmente criticati da molti Stati e anche - devo dire - dalla dottrina
giuridica, per cui non si può parlare della creazione o dello svilupparsi di una norma
che legittima l’intervento unilaterale, senza quindi alcuna autorizzazione da parte
del Consiglio di sicurezza, anche in caso di gravi violazioni dei diritti umani.