Centrafrica: in migliaia nell'aeroporto di Bangui per sfuggire alle violenze dei guerriglieri
Migliaia di persone hanno occupato la pista dell’aeroporto di Bangui, nella Repubblica
Centrafricana, per sfuggire ad un attacco dei guerriglieri "Seleka" contro il quartiere
in cui vivono. I civili, che ribadiscono il loro sostegno al governo, denunciano una
situazione di instabilità, chiedendo pace e sicurezza. Su questo episodio, Salvatore
Sabatino ha intervistato, la missionaria comboniana in Centrafrica suor Elianna:
R. – I ribelli
sono entrati nel quartiere e hanno cominciato a sparare, a fare atti di saccheggio,
di furto. La popolazione, quindi, è scappata. I francesi, addetti alla sicurezza dell’aeroporto,
hanno lasciato passare queste persone e le hanno soccorse, perché in difficoltà.
D.
– Ovviamente l’aeroporto in questo momento è bloccato. Sono stati cancellati tutti
i voli in partenza ed in arrivo per Bangui...
R. – Sì, i voli sono stati bloccati
e le persone continuano ad aumentare: oltre a quelle che sono inizialmente fuggite
dal quartiere attaccato, sono arrivate quelle di altri quartieri, che si sono aggiunte
per solidarietà e per un atto forte nei confronti del governo, perché questa insicurezza
continua, questa precarietà, possano terminare.
D. – Questo ci dice ovviamente
che la gente è stanca di questa situazione e questo episodio è anche emblematico di
una situazione, che è molto al di là della normalizzazione...
R. – Sicuramente.
Nonostante il presidente avesse prestato il suo giuramento due domeniche fa, il giorno
dopo i ribelli avevano attaccato già questo quartiere. Questa gente è semplice: non
sono intellettuali, non sono leader politici, ma gente semplice del quartiere che
si è organizzata e sta aspettando di essere ricevuta dal presidente e dal primo ministro.
So che i capi religiosi, l’arcivescovo di Bangui, i pastori e così via si stanno prestando
per la mediazione tra la popolazione e i capi politici.
D. – La Chiesa locale,
dunque, continua a svolgere un ruolo importantissimo...
R. – Sì, ha un compito
essenziale. E senza la mediazione della Chiesa - che anche a causa di questo comincia
a subire degli attacchi ipocriti – senza questa mediazione, sicuramente la situazione
sarebbe peggiore allo stato attuale.
D. – Nei mesi scorsi ci sono stati assalti
alle comunità e alle Chiese. Si sono ripetuti in quest’ultimo periodo?
R. –
Non ci sono stati grandi attacchi, ma un mese fa circa è stata assaltata la macchina
della Caritas nazionale ed è stato ferito anche il responsabile nazionale con un colpo
di arma da fuoco. Adesso si sta riprendendo. Quindi, comunque, anche la Chiesa continua
a non sentirsi tranquilla.
D. – Di tutta questa situazione a pagare il prezzo
più alto sono sempre i più deboli, pensiamo agli anziani, ma soprattutto ai bambini,
che per lei sono una ferita al cuore...
R. – Sì. Leggevo in un’altra notizia
di questi giorni delle migliaia di persone che sono sfollate e che hanno trovato rifugio
in ospedale. Non ci sono le misure minime per l’assistenza: ci sono cinque o sei persone
al giorno che continuano a morire e ci sono difficoltà a trovare cosa dare da mangiare
a questi bambini, che continuano a subire traumi psicologici, che se non sono presi
in tempo dalla comunità educativa, dalla comunità internazionale, potranno avere ripercussioni
anche nel loro modo di essere adulti di domani.
D. – Quella della Repubblica
Centrafricana è sicuramente una delle tante crisi dimenticate, di cui si parla pochissimo.
Cosa fare per mantenere alta l’attenzione?
R. – Sicuramente è una grande responsabilità
quella che hanno i mass media, che purtroppo, soprattutto a livello di televisione
o stampa, sono attaccati alle foto che mostrano il sangue e la violenza. La responsabilità,
dunque, dei mass media è quella di seguire da vicino, cercare notizie, continuare
a dire quello che succede, perché un popolo è da molti mesi preso in ostaggio e il
suo futuro fino ad oggi è ancora estremamente incerto.
D. – Come vede il futuro
della Repubblica Centrafricana?
R. – Con gli occhi della fede sarà sicuramente
un futuro di pace e un futuro di comunione. Sicuramente questo passa per la via della
Croce e richiederà certamente molto tempo, ma si arriverà, perché questa è la promessa
che Dio fa al suo popolo.