In Egitto ancora tensione. Due sostenitori del deposto presidente Morsi sono rimasti
uccisi nella città di Beni Suef, nel sud del Paese, in scontri con residenti e forze
dell'ordine, decine i feriti. Uno dei luoghi più roventi in questo momento è la città
di Minya, 250 km a sud del Cairo. Un luogo sotto assedio dove la Chiesa copta continua
a vivere giorni di dolore e sofferenza, come ci racconta Cristiano Tinazzi dopo aver
visitato la città:
Minya, 250 chilometri
a sud della capitale, è una città sotto assedio. Uomini armati in borghese stazionano
agli ingressi della città. Le dita sul grilletto e la sicura alzata con il colpo in
canna. Una delle zone più calde dell'Egitto, questa, dove decine e decine di negozi
ed edifici religiosi sono stati attaccati il 14 agosto scorso da migliaia di persone
guidate da elementi dei Fratelli Musulmani. Anche il museo archeologico è stato completamente
devastato. Non rimane più nulla, a parte vetri infranti e calcinacci. E da poco è
partito proprio dal museo il ministro del Turismo, venuto a constatare i danni. Kamel
Garas Faltas, copto, si trovava in casa quando alle 8 di sera è stato attaccata la
palazzina dove vive. "Hanno lanciato molotov nel cortile e sparato colpi di arma da
fuoco contro l'entrata principale", dice, mentre Ezzat, accanto a lui, non riesce
a trattenere le lacrime nel ricordare quei momenti. "Hanno portato via tutto, soldi,
oro e - aggiunge - hanno picchiato me e mia figlia". Nel cortile rimangono le carcasse
di alcune auto incendiate. Spostandosi di villaggio in villaggio si rivedono immagini
molto simili: devastazioni, incendi, saccheggi e paura. Soprattutto perché la polizia
non c'è. E neanche l'esercito, arroccato nelle caserme. Soprattutto in posti come
Minya, roccaforte islamista dominata dai gruppi salafiti. Paura, ma anche fede. Nonostante
tutto anche qui sono visibili gli attestati di solidarietà nei confronti della comunità
copta, capro espiatorio di turno nel caos egiziano che sembra non avere termine.