Sinodo valdese. Mons. Bianchi: orizzonti comuni. Il pastore Bernardini: importante
e fecondo il dialogo ecumenico
Prosegue a Torre Pelice, in provincia di Torino, il Sinodo delle Chiese metodiste
e valdesi. All’assemblea è intervenuto anche il ministro italiano per l’Integrazione,
Cécile Kyenge, che lunedì sera ha sottolineato come l’apporto delle Chiese cristiane
sia “fondamentale” per il processo di integrazione degli immigrati. Rivolgendosi,
domenica scorsa, al Sinodo, mons. Mansueto Bianchi, presidente della Commissione
per il dialogo ecumenico e interreligioso della Conferenza Episcopale Italiana, ha
detto che sfide comuni attendono tutte le Chiese cristiane. Antonella Palermo
lo ha intervistato:
R. – E’ stato
un messaggio che ha avuto diverse sfaccettature. Anzitutto, una presenza e un messaggio
non formale proprio per evidenziare la paternità che nasce dalla condivisione della
fede cristiana e della Parola del Signore. Poi anche la condivisione di alcuni impegni
e di alcuni orizzonti, anche problematici, che un tempo come il nostro, che stiamo
vivendo insieme, presenta ai cattolici, ma presenta a tutte le Chiese, e cioè quello
della evangelizzazione di un mondo ad alto tasso di secolarizzazione. Allora è una
sfida e un impegno comune quello dell’annuncio del Vangelo, in un tempo come il nostro.
Un altro aspetto, un altro orizzonte è stato l’evidenziare come stia cambiando il
mondo nel quale viviamo, nel quale ci collochiamo, sia per la multi etnicità che si
sta diffondendo e che comporta una multiculturalità, una multi religiosità. In un
certo senso, il mondo globalizzato sta ‘fiorendo’ attorno a noi e cambia il tessuto
nel quale ci collochiamo e cambia anche le relazioni che finora abbiamo vissuto e
che stiamo tuttora vivendo. Pure questo allora è un elemento che dobbiamo affrontare
insieme. Collegato proprio a questo, però, c’è il tema dell’apporto specifico che
le Chiese possono dare al formarsi di un nuovo tempo, di una nuova civiltà.
D.
– Lei ha detto che le Chiese possono dare un originale contributo per immaginare altre
vie di sviluppo e di crescita. Può fare degli esempi concreti di collaborazione?
R.
– Sì, il tema della partecipazione, il tema della democrazia, il tema della redistribuzione
delle ricchezze e dell’accesso alle ricchezze. Si tratta, quindi, proprio di ripensare
un sistema economico in cui l’esperienza di umanizzazione delle Chiese, l’esperienza
di carità, di solidarietà che le Chiese stanno portando avanti in Europa, può dire
veramente una parola importante, una parola orientativa. Si tratta in un certo senso
di ritrovarci, di condividere quello che è l’insegnamento sociale della Chiesa, che
tocca aspetti ampiamente apprezzati anche dalle altre Chiese e apre delle porte concrete
per nuovi percorsi di relazioni economiche, che diventano nuovi percorsi di relazioni
umane e, quindi, diventano nuovo modo di fare civiltà. Di questo c’è bisogno e su
questo ho trovato attenzione, ho trovato grande sensibilità da parte del Sinodo valdese,
tanto che alcuni di questi aspetti sono stati poi anche ripresi dal presidente del
Sinodo e sottolineati proprio per la loro urgenza e per la loro pertinenza.
D.
– C’è stato anche un momento di grande convergenza nel commento che la pastora Bonafede
ha fatto al Vangelo di Matteo, che ha inaugurato proprio i lavori della tavola valdese,
che è il Vangelo sulla porta stretta...
R. – Esattamente. C’è questa convergenza.
Direi che la pastora Bonafede ha commentato questa immagine biblica della porta stretta
anzitutto con una grande coerenza biblica, a livello di fedeltà al testo, ma poi anche
con una grande sapienza spirituale. Ha fatto vedere, infatti, come questa porta stretta
sia sostanzialmente la persona di Gesù, sia Cristo, sia la Croce del Signore, il suo
Vangelo, e ha fatto vedere come questa porta stretta si ponga di fronte a tanti aspetti
della contemporaneità - della contemporaneità personale, della contemporaneità culturale,
sociale, relazionale, che oggi viviamo - e cosa questa immagine biblica della porta
stretta chieda ed esiga sotto queste componenti. In particolare, poi, ha evidenziato
che attraverso la porta stretta si passa uno per uno: c’è la responsabilità personale,
l’assunzione personale di responsabilità nei confronti della propria scelta di fede
e anche con la propria coscienza davanti agli occhi e sotto il giudizio della fede.
Parole,
quelle di mons. Mansueto Bianchi, molto apprezzate dal Sinodo delle Chiese metodiste
e valdesi. La riflessione di Eugenio Bernardini, moderatore della Tavola Valdese,
sempre al microfono di Antonella Palermo:
R. - Il Sinodo
delle nostre Chiese, che è l’assemblea generale nazionale che prende le decisioni
che interessano tutte le nostre Chiese, ha molto apprezzato la presenza e il messaggio
di mons. Bianchi: è stato un intervento carico di simpatia e di fraternità, e questo
è un piano che per noi è uno dei prodotti più belli del dialogo e dell’incontro ecumenico.
La stagione che ha aperto Papa Francesco, noi l’abbiamo salutata con molta positività
e con molte attese, soprattutto il suo presentarsi su un piano di semplicità, di condivisione,
di fraternità non soltanto per il popolo cattolico ma anche per i cristiani delle
altre confessioni e un po’ per tutti. Questo ci sembra fondamentale per ogni tipo
di presenza cristiana, perché l’umiltà e la semplicità sono non solo delle grandi
virtù ma anche un comandamento del nostro comune Signore.
D. – Avete anche
anticipato i dati di una ricerca Eurisko sulla religiosità degli italiani: proprio
ieri se n’è parlato in una tavola rotonda sul tema: “Santa Ignoranza: gli italiani,
il pluralismo delle fedi, l’analfabetismo religioso”. Vi ha partecipato anche il ministro
per l’integrazione Cécile Kyenge. Davvero siamo così ignoranti?
R. – Non soltanto
questa ricerca ha confermato la sensazione dei cristiani praticanti, e cioè che noi
viviamo in un contesto non solo secolarizzato, ma di ignoranza crescente. Le giovani
generazioni sono ancora più ignoranti sui fondamenti religiosi del cristianesimo,
ma in particolare sulle radici bibliche della fede cristiana. Più che le generazioni
anziane, i giovani per effetto dell’indifferenza, della secolarizzazione e probabilmente
anche delle carenze della testimonianza delle Chiese, sono particolarmente ignoranti,
ma non disinteressati alle tematiche, alle problematiche religiose, alle proposte
religiose … Quello che colpisce è che anche gli operatori della comunicazione e dell’informazione,
anche quelli più specializzati da cui ci si aspetterebbe qualcosa di più, anche loro
hanno delle carenze un po’ gravi. C’è un po’ di pigrizia in questo campo, mentre in
altri settori – pensiamo allo sport – tutti sono commissari tecnici, allenatori… Questo
fa veramente riflettere!
D. – Perché uno sceglie di diventare valdese?
R.
– Ci sono due cammini: il primo è quello in cui si nasce in una famiglia valdese o
in una famiglia in cui una parte di essa è valdese, una confessione cristiana presente
da sempre, da secoli, nel nostro territorio; di minoranza, centrata sul rapporto diretto
con Dio in un contesto comunitario ma molto caloroso e fraterno, con una radice biblica
robusta, con un’individuazione della responsabilità personale e della libertà personale
molto forti, aperto al sociale, ai diritti e naturalmente anche ai doveri di tutti.
Si nasce in questo contesto e una parte consistente delle giovani generazioni continua
questa tradizione. L’altra parte, che in questi decenni sta crescendo, sta aumentando,
è composta da coloro che sono alla ricerca di una loro casa: una casa di fede, una
casa di spiritualità, comunitaria, religiosa, in cui si sentano maggiormente a proprio
agio... Noi li accogliamo con molta gioia: non con uno spirito polemico nei confronti
della loro tradizione passata, ma proprio perché crediamo che la pluralità, non soltanto
delle fedi e delle religioni, ma anche delle modalità con cui si può esprimere il
pensiero e la testimonianza cristiana, se vissuto nel rispetto reciproco e nella comunione,
siano dei valori importanti che dobbiamo promuovere.