Ancora violenze in Iraq: 11 morti nelle ultime ore
La violenza continua a scuotere l’Iraq. Attacchi con autobomba in tutto il Paese,
nelle ultime 24 ore sono 11 i morti di cui 6 civili prelevati dalle loro case e
uccisi da un commando di insorti con false uniformi dell’esercito, a nord di Baghdad.
Dietro la violenza, l’eterna faida tra sunniti e sciiti, lo sconfinamento della crisi
siriana, e il rafforzamento dell’incidenza del terrorismo internazionale, tanto che
il premier Al Maliki avrebbe nuovamente chiesto a Washington armi e droni per combattere
i miliziani. Al microfono di Cecilia Seppia, il commento di Francesca Manfroni,
giornalista di Osservatorio per l’Iraq:
R. - In questo
momento in Iraq stanno agendo diversi gruppi di terroristi non in accordo tra loro.
Ad esempio, si parla molto di Abu al-Baghdadi, il leader dello Stato islamico in Iraq,
che in questo momento opera in modo molto feroce, sia nel territorio iracheno che
su quello siriano, tant’è che stiamo assistendo, nuovamente, alla nascita dei "Consigli
del Risveglio", dei consigli creati dalle tribù sunnite dell’Anbar - quindi anche
quelle in contrasto con il governo centrale guidato da al-Maliki - che però si opponevano
alla violenza perpetrata dalle milizie di al-Zarqawi, altro gruppo terroristico iracheno.
Quindi, si sta ricreando una situazione di caos totale come abbiamo assistito in quel
periodo. Questo è profondamente drammatico, perché è "un tutti contro tutti" e i morti,
così, non potranno che salire nei prossimi mesi.
D. - Quindi la matrice terroristica
di questi attentati, ma anche ovviamente il peso della crisi siriana, si sta facendo
sempre di più sentire in Iraq ...
R. - In questo momento tutto ciò che opera
in Iraq si sta rafforzando grazie alla visibilità, al circuito di soldi che sta girando
grazie alle operazioni sul territorio siriano; diciamo che l’insorgenza irachena si
sta alimentando del conflitto siriano per riprendere vigore anche sul territorio iracheno.
Questo comunque dimostra che il passaggio di consegne tra gli Stati Uniti e l’esercito
iracheno non ha funzionato e che il Paese è assolutamente governato da piccole fazioni.
D.
- Ricordiamoci poi che c’è questa figura "scomoda" del premier al-Maliki attorno al
quale le lotte per il potere si sono intensificate ...
R. - Ci sono spaccature
ovunque. All’interno degli stessi sunniti ci sono spaccature, così come sul fronte
sciita, perché vorrei ricordare che Maliki vorrebbe correre per il terzo mandato e
persino il suo partito si sta opponendo a questa ipotesi. Il pericolo è che l’attuale
primo ministro venga un po’ - come è successo in passato - usato come capro espiatorio
per non risolvere il vero problema: l’Iraq è un Paese che non può andare avanti per
quote confessionali e per aree di influenza, perché era un Paese essenzialmente unito
prima e adesso è diviso in tre parti controllate rispettivamente da tre gruppi.
D.
- A due anni dal ritiro delle truppe statunitensi, il governo di al-Maliki avrebbe
- tra l’altro - chiesto a Washington armi, droni ed altri mezzi per combattere sia
i miliziani sunniti, sia Al Qaeda; una richiesta “particolare” ...
R. - Una
richiesta che sostanzialmente non fa che avvalorare tutto quello che abbiamo detto
finora, perché comunque il potere sa che il territorio non è sotto controllo. A tutto
questo però ci tengo a contrapporre una società civile irachena sempre più sfiancata
dalle violenze, ma che continua a farsi forza, nonostante questo scenario di violenze;
ricordo che le principali vittime di questa violenza sono civili assolutamente inermi
che prendono il caffè al bar di Baghdad, o che passeggiano per strada.