2013-08-24 20:18:13

Siria, gli Usa pensano al Kosovo, Berlino frena sull'attacco. Msf: 355 morti per gas


L’opzione Kosovo è la modalità di intervento che gli Stati Uniti starebbero pensando per la Siria, dopo il presunto attacco con gas tossici ad opera del governativi, mercoledì scorso, in un quartiere di Damasco. La comunità internazionale è però divisa, con la Germania decisa a favorire un’azione politica. La Francia parla di massacro chimico, mentre alcune Ong testimoniano di morti con sintomi neurotossici. Su quartieri e sobborghi di Damasco nel frattempo proseguono i bombardamenti aerei e d’artiglieria da parte delle forze di Assad. Servizio di Francesca Sabatinelli: RealAudioMP3

La questione del possibile uso delle armi chimiche in Siria scotta tra le mani delle cancellerie occidentali. Alle pressioni di Gran Bretagna e Francia, che ha apertamente accusato Damasco di ‘massacro chimico’ e parlato di necessaria reazione forte, si oppone lo stop della Germania, contraria all’intervento militare. La soluzione deve essere politica, chiarisce il portavoce della Merkel, in linea con la Russia sulla possibilità di una commissione indipendente che accerti l’eventuale uso di nervino. E’ intanto arrivata a Damasco, per incontri con i vertici siriani, il sottosegretario dell’Onu Angela Kane, che dovrebbe discutere i termini di una prossima indagine degli ispettori del Palazzo di Vetro. Lunedì in Giordania si terrà un vertice dei capi delle forze armate di 10 Paesi, tra cui l’Italia, una riunione pensata prima della notizia dell’attacco, precisano fonti londinesi. La Casa Bianca, secondo la stampa statunitense, starebbe intanto valutando diverse opzioni, escludendo un intervento di terra e prospettando una sorta di modello Kosovo: raid Nato senza il placet dell’Onu, così come fu fatto nel ‘99 per fermare Milosevic, e aggirando quindi il ‘no’ di Russia e Cina. Ma in questo caso pesano le minacce iraniane: se si procederà ad un intervento contro Bashar al-Assad, sarà guerra totale in tutta la regione, avverte Teheran, con ripercussioni su Israele. Intanto, mentre l’opposizione siriana continua a negare l’utilizzo da parte sua di armi chimiche, dopo l’accusa dei governativi di aver trovato agenti chimici in un tunnel, ong locali e non, come Medici senza frontiere, denunciano oltre 300 morti con sintomi da esposizione a neurotossine, come quelle attive nei gas nervini.

Sugli scenari che si aprono nell’area, Davide Maggiore ha raccolto il commento di Antonio Ferrari, editorialista del Corriere della Sera: RealAudioMP3

R. – E’ tutto esplosivo e tutto ancora incerto, nonostante le pressioni della Gran Bretagna ma soprattutto della Francia: le pressioni della Francia somigliano molto a quelle che ai tempo di Sarkozy si fecero contro la Libia, ma una guerra in Siria sarebbe veramente devastante. Anche per gli Stati Uniti, qualora si dovesse decidere per un intervento armato, si rischierebbe non solo di compromettere tutti i precari equilibri della regione, ma di favorire chiaramente e apertamente un fronte sunnita con all’interno componenti estremiste. E quello che sta accadendo in Libano sta dimostrando che lo scontro è ormai diventato uno scontro assai più preoccupante tra sunniti e sciiti.

D. – Appunto, la situazione del Libano si può descrivere come una situazione di incertezza completa: quali scenari si aprono?

R. – Purtroppo, il coinvolgimento del Libano è – come è sempre stato – come terreno di scontro per conto terzi: nell’area di Tripoli, dove c’è una forte componente sunnita e dove anche sono barricati i sostenitori delle forze di opposizione siriane, il rischio di una proliferazione di attentati è altissimo e per il Libano sarebbe ancora una volta il precipitare in una situazione di guerra.

D. – Le notizie che arrivano dal Libano, negli ultimi giorni, non hanno riguardato solamente il Nord libanese, dunque l’area di Tripoli, ma anche il Sud, quindi il confine con Israele. Quale ruolo può avere Israele in questo scenario che abbiamo descritto?

R. – Israele era enormemente preoccupato della situazione egiziana: per Israele, il rischio di un Egitto destabilizzato era altissimo! L’Egitto confina – lo sappiamo – con la Striscia di Gaza e un regime molto possibilista e molto "tenero" nei confronti di Hamas avrebbe creato problemi nel suo meridione. Israele è preoccupato per la situazione siriana: se per l’Egitto oggi Israele è più garantito con la presenza dei militari di al-Sisi, in Siria – tutto sommato – meglio per Israele un Bashar al-Assad che lasciare il Paese nelle mani di una maggioranza sunnita dentro la quale sono ben evidenti forze estremiste, pericolose per lo Stato ebraico. Il segnale che è arrivato da Hezbollah con il lancio di qualche razzo nel Nord di Israele, con immediata risposta dello Stato ebraico, lascia intendere che nel caso di allargamento del conflitto torneremo a scenari che pensavamo definitivamente cassati: cioè gli scenari dell’inizio degli anni Ottanta.

D. – C’è un arco di instabilità regionale che ormai va dal Nord della Siria fino a tutto l’Egitto. In questo scenario esiste una qualche forza – statale o non statale – che possa beneficiare della situazione o uscirne rafforzata?

R. – Come abbiamo visto, ci sono delle scomposizioni molto strane. Per esempio, il Qatar, assieme all’Arabia Saudita, ha sostenuto il presidente egiziano Morsi, però dopo quanto è accaduto il 3 luglio il Qatar continua a sostenere Morsi mentre l’Arabia Saudita è passata a sostenere al-Sisi. Allora, abbiamo un fronte sunnita che guarda molto ad una nuova stabilità, guidato dall’Arabia Saudita, quindi sicuramente di questa situazione potranno beneficiare i sauditi. Certo, i sauditi vogliono cacciare Bashar al Assad, quindi direi che già è difficile capire il presente e fino a quando non si saranno sciolti certi nodi sarà quasi impossibile predire il futuro …







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