Siria, gli Usa pensano al Kosovo, Berlino frena sull'attacco. Msf: 355 morti per gas
L’opzione Kosovo è la modalità di intervento che gli Stati Uniti starebbero pensando
per la Siria, dopo il presunto attacco con gas tossici ad opera del governativi, mercoledì
scorso, in un quartiere di Damasco. La comunità internazionale è però divisa, con
la Germania decisa a favorire un’azione politica. La Francia parla di massacro chimico,
mentre alcune Ong testimoniano di morti con sintomi neurotossici. Su quartieri e sobborghi
di Damasco nel frattempo proseguono i bombardamenti aerei e d’artiglieria da parte
delle forze di Assad. Servizio di Francesca Sabatinelli:
La questione
del possibile uso delle armi chimiche in Siria scotta tra le mani delle cancellerie
occidentali. Alle pressioni di Gran Bretagna e Francia, che ha apertamente accusato
Damasco di ‘massacro chimico’ e parlato di necessaria reazione forte, si oppone lo
stop della Germania, contraria all’intervento militare. La soluzione deve essere politica,
chiarisce il portavoce della Merkel, in linea con la Russia sulla possibilità di una
commissione indipendente che accerti l’eventuale uso di nervino. E’ intanto arrivata
a Damasco, per incontri con i vertici siriani, il sottosegretario dell’Onu Angela
Kane, che dovrebbe discutere i termini di una prossima indagine degli ispettori del
Palazzo di Vetro. Lunedì in Giordania si terrà un vertice dei capi delle forze armate
di 10 Paesi, tra cui l’Italia, una riunione pensata prima della notizia dell’attacco,
precisano fonti londinesi. La Casa Bianca, secondo la stampa statunitense, starebbe
intanto valutando diverse opzioni, escludendo un intervento di terra e prospettando
una sorta di modello Kosovo: raid Nato senza il placet dell’Onu, così come fu fatto
nel ‘99 per fermare Milosevic, e aggirando quindi il ‘no’ di Russia e Cina. Ma in
questo caso pesano le minacce iraniane: se si procederà ad un intervento contro Bashar
al-Assad, sarà guerra totale in tutta la regione, avverte Teheran, con ripercussioni
su Israele. Intanto, mentre l’opposizione siriana continua a negare l’utilizzo da
parte sua di armi chimiche, dopo l’accusa dei governativi di aver trovato agenti chimici
in un tunnel, ong locali e non, come Medici senza frontiere, denunciano oltre 300
morti con sintomi da esposizione a neurotossine, come quelle attive nei gas nervini.
Sugli scenari che si aprono nell’area, Davide Maggiore ha raccolto
il commento di Antonio Ferrari, editorialista del Corriere della Sera:
R. – E’ tutto
esplosivo e tutto ancora incerto, nonostante le pressioni della Gran Bretagna ma soprattutto
della Francia: le pressioni della Francia somigliano molto a quelle che ai tempo di
Sarkozy si fecero contro la Libia, ma una guerra in Siria sarebbe veramente devastante.
Anche per gli Stati Uniti, qualora si dovesse decidere per un intervento armato, si
rischierebbe non solo di compromettere tutti i precari equilibri della regione, ma
di favorire chiaramente e apertamente un fronte sunnita con all’interno componenti
estremiste. E quello che sta accadendo in Libano sta dimostrando che lo scontro è
ormai diventato uno scontro assai più preoccupante tra sunniti e sciiti.
D.
– Appunto, la situazione del Libano si può descrivere come una situazione di incertezza
completa: quali scenari si aprono?
R. – Purtroppo, il coinvolgimento del Libano
è – come è sempre stato – come terreno di scontro per conto terzi: nell’area di Tripoli,
dove c’è una forte componente sunnita e dove anche sono barricati i sostenitori delle
forze di opposizione siriane, il rischio di una proliferazione di attentati è altissimo
e per il Libano sarebbe ancora una volta il precipitare in una situazione di guerra.
D.
– Le notizie che arrivano dal Libano, negli ultimi giorni, non hanno riguardato solamente
il Nord libanese, dunque l’area di Tripoli, ma anche il Sud, quindi il confine con
Israele. Quale ruolo può avere Israele in questo scenario che abbiamo descritto?
R.
– Israele era enormemente preoccupato della situazione egiziana: per Israele, il rischio
di un Egitto destabilizzato era altissimo! L’Egitto confina – lo sappiamo – con la
Striscia di Gaza e un regime molto possibilista e molto "tenero" nei confronti di
Hamas avrebbe creato problemi nel suo meridione. Israele è preoccupato per la situazione
siriana: se per l’Egitto oggi Israele è più garantito con la presenza dei militari
di al-Sisi, in Siria – tutto sommato – meglio per Israele un Bashar al-Assad che lasciare
il Paese nelle mani di una maggioranza sunnita dentro la quale sono ben evidenti forze
estremiste, pericolose per lo Stato ebraico. Il segnale che è arrivato da Hezbollah
con il lancio di qualche razzo nel Nord di Israele, con immediata risposta dello Stato
ebraico, lascia intendere che nel caso di allargamento del conflitto torneremo a scenari
che pensavamo definitivamente cassati: cioè gli scenari dell’inizio degli anni Ottanta.
D.
– C’è un arco di instabilità regionale che ormai va dal Nord della Siria fino a tutto
l’Egitto. In questo scenario esiste una qualche forza – statale o non statale – che
possa beneficiare della situazione o uscirne rafforzata?
R. – Come abbiamo
visto, ci sono delle scomposizioni molto strane. Per esempio, il Qatar, assieme all’Arabia
Saudita, ha sostenuto il presidente egiziano Morsi, però dopo quanto è accaduto il
3 luglio il Qatar continua a sostenere Morsi mentre l’Arabia Saudita è passata a sostenere
al-Sisi. Allora, abbiamo un fronte sunnita che guarda molto ad una nuova stabilità,
guidato dall’Arabia Saudita, quindi sicuramente di questa situazione potranno beneficiare
i sauditi. Certo, i sauditi vogliono cacciare Bashar al Assad, quindi direi che già
è difficile capire il presente e fino a quando non si saranno sciolti certi nodi sarà
quasi impossibile predire il futuro …