Il cardinale Tauran: senza libertà religiosa l'uomo diventa una merce
Al Meeting di Rimini è intervenuto ieri il cardinale Jean-Louis Tuaran, presidente
del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, con una riflessione sulla
libertà religiosa.
Prima di tutto – ha sottolineato il porporato – “quando
parliamo di libertà religiosa, non parliamo di religioni, ma di un diritto umano fondamentale
ben definito dal diritto internazionale. L'ultima iniziativa del Consiglio d'Europa
sulla libertà di religione è eloquente al riguardo”. “Questa libertà – ha aggiunto
- non viene concessa dallo Stato, né da un Governo, come se fosse un gesto di generosa
benevolenza verso i cittadini. La libertà di religione appartiene ad ogni persona,
che può esercitarla in maniera individuale o collettiva, nell'ambito privato, come
nell'ambito pubblico, senza altro limite che quello di non ledere i diritti degli
altri cittadini siano essi credenti, non credenti, atei o agnostici”.
Leggendo
i giornali di questi ultimi giorni – ha proseguito - e venendo a conoscenza dei “soprusi
di cui sono stati vittime i nostri fratelli cristiani, cattolici o no, uccisi o deportati
unicamente in ragione della propria religione, possiamo ben comprendere l'attualità
del tema ‘Libertà di religione’”. In particolare, ha denunciato “che chi soffre di
più e vede lesa questa libertà sono i cristiani. La persecuzione non necessariamente
cruenta, ma spesso è subdola, soprattutto nei Paesi occidentali. Cultura, costumi,
legislazione, che "cosificano" la persona umana costituiscono altrettanti tentativi
di confinare la religione nel privato”.
“E' vero – ha osservato - che nei mass-media
non si è mai parlato tanto conic oggi di libertà di religione. Dio, che le ideologie
del secolo scorso avevano estromesso, è tornato sulla scena pubblica. Dico "Dio",
e non parlo del "cristianesimo". Inoltre, la presenza sempre più visibile dell'islam
in Europa, e le azioni violente perpetrate da alcuni membri traviati di quella religione,
sono all'origine del ritorno del "religioso" in occidente, ma anche della paura che
le religioni inducono spesso nella mente dell'uomo secolarizzato”.
Al riguardo
– ha detto il card. Tauran – “non conosco una condanna più precisa del terrorismo
di matrice religiosa che quella formulata dal papa Benedetto XVI il 9 gennaio 2006.
Accennando al terrorismo organizzato, il papa parlava delle "ideologie commiste ad
aberranti concezioni religiose". E diceva: "Il terrorismo non esita a colpire persone
inermi, senz'alcuna distinzione, o a porre in essere ricatti disumani, inducendo il
panico in intere popolazioni, al fine di costringere i responsabili politici ad assecondare
i disegni dei terroristi stessi. Nessuna circostanza vale a giustificare tale attività
criminosa, che copre d'infamia chi la compie, e che è tanto più deprecabile, quando
si fa scudo di una religione, abbassando così la pura verità di Dio alla misura della
propria cecità e perversione morale". Comunque sia, non si può fare astrazione da
Dio, perché l'uomo, é, per natura, un animale religioso. E' l'unica creatura che interroga
e s'interroga. Non si conosce nessuna civiltà senza religione”.
“La libertà
religiosa – ha affermato poi il porporato - é, fondamentalmente, la libertà: di intrattenere
un rapporto personale con la trascendenza; di praticare la propria fede in pubblico;
di professarla liberamente. La libertà religiosa nella società e nello Stato, è un
diritto soggettivo della persona. Essa dev'essere riconosciuta come tale nell'ordinamento
giuridico civile. Lo Stato deve osservare una neutralità positiva: non dev'essere
né indifferente, né ostile, né identificarsi con una confessione, né farsi promotore
di una ideologia antireligiosa, ma garante della libertà religiosa delle persone e
delle comunità, conformemente alle esigenze dell'ordine pubblico e al servizio del
bene comune. Lo Stato moderno democratico non "riconosce" alcuna religione, per poterle
"conoscere" tutte. Quindi, la libertà religiosa é molto di più della libertà di culto
e anche della libertà di pensiero che essa suppone, e senza la quale essa sarebbe
impossibile”.
“La libertà di religione – ha proseguito - é quindi il risultato
di una determinazione della coscienza individuale ("la voce che mi spinge a compiere
il bene ed evitare il male", cfr GS 15). Questa determinazione non deve subire alcuna
pressione: "La libertà non si impone che per la forza della verità stessa", DH n.
l). La relazione con Dio ha una particolarità che la distingue da qualsiasi altra
relazione umana: -è una relazione di sottomissione di un essere umano limitato, a
Dio, riconosciuto Onnipotente e Perfetto. E' una relazione di subordinazione della
persona umana all'Essere supremo (si parla di Creatore o di Padre). Ma credere non
è soltanto una realtà personale. Si crede sempre all'interno di una comunità di credenti”.
Quindi
ha aggiunto: “Ogni persona umana è libera, quando niente o nessuno le impedisce di
scegliere e di decidere in merito alle sue opinioni o azioni. Ognuno di noi "sceglie"
e "decide": la scelta consiste nel privilegiare, tra i beni, quello che reputo
essere per me il migliore. Si tratta di un'attività interiore, spirituale. La decisione,
invece, di seguire i precetti di una religione, suppone una visibilità: il credente
ha a disposizione mezzi appropriati per raggiungere lo scopo che si è prefissato”.
“Se
applichiamo questi concetti alla libertà di religione – ha continuato - possiamo dire
che la scelta di una religione, come la migliore, è un atto interno, mentre la decisione
di seguire una determinata religione comporta atti esterni (culto, insegnamento, diffusione
della dottrina)”. La libertà di religione, in altre parole non è che la libertà della
persona umana di scegliere una relazione con Dio, e di decidere di vivere conformemente
ad essa.
“Scegliere, o decidere, di avere una relazione con Dio, è l'atto più
importante che uno possa compiere. Si tratta nientemeno che di entrare in relazione
con Dio. Ecco perché tale scelta e decisione devono realizzarsi senza coazione esterna
o interna”. Un punto sul quale il card. Tauran ha insistito è questo: “la relazione
del credente con Dio è una realtà di sottomissione tra un essere umano limitato e
Dio riconosciuto come onnipotente e perfetto. Si comprende allora la differenza tra
religione e sette. Mentre la religione esprime una relazione di dipendenza della creatura
rispetto al Creatore, nel caso delle superstizioni, é l'essere umano che pretende
di dominare le forze soprannaturali a proprio beneficio”.
Sul fronte della
laicità e del rapporto Stato-religione ha detto: “Governanti e pastori devono intrattenere
prima di tutto un rapporto reciproco di fiducia, perché sono entrambi al servizio
di una stessa persona, cittadino e credente. E' il bene comune che entrambi perseguono.
I credenti e i loro responsabili devono, ovviamente, rispettare l'ordine pubblico,
le legittime autorità, condividere le misure sociali, in una parola i valori della
democrazia. Invece, i responsabili delle società devono accettare e tutelare alcuni
aspetti fondamentali "visibili" inerenti alle religioni: a) Le manifestazioni del
culto, con le quali gli uomini adorano l'Essere supremo, e noi diciamo "il Dio unico". b) Essendo
l'uomo "sociale", ogni religione ha la sua dimensione comunitaria e, quindi, le autorità
devono assicurare che ogni credente abbia la libertà, soprattutto in momenti importanti
della vita, di adottare uno stile di vita specifico (penso a realtà quali matrimonio,
educazione dei figli, esercizio di una professione, salute, morte). c) La libertà
di associazione: non si vive la fede da soli nella propria stanza. C'è sempre una
dimensione collettiva, accompagnata dal desiderio di proporre ciò che noi riteniamo
un bene. Molto spesso la religione viene trasmessa da una generazione all'altra, ed
è quindi normale che i suoi seguaci possano riunirsi pe conservare ed approfondire
il loro patrimonio spirituale. d) Infine, non possono impedire che i credenti propongano
a tutti, tramite la famiglia, la scuola, i mezzi di comunicazione sociale, le feste
popolari, quel tesoro che per loro è la propria fede. La fede, in realtà, è una
forza per costruire la pace. Quando si crede che ogni persona umana ha ricevuto dal
Creatore una dignità unica, che ciascuno di noi è soggetto di diritti e libertà inalienabili,
che servire il prossimo significa crescere in umanità, si può comprendere quale capitale
costituiscano le comunità di credenti nella costruzione di un mondo pacificato e pacifico”.
Il
card. Tauran ha proseguito: “Credenti che s'incontrano malgrado la loro diversità,
costituiscono un vantaggio per la società. Quasi tutte le religioni predicano la fraternità
e rifiutano la violenza gratuita. Così le religioni possono contribuire alla pace
e anche all'armonia sociale. Inoltre, gli atteggiamenti di rispetto e di solidarietà
verso ogni uomo, quale che sia la sua religione, contribuiscono a mantenere un legame
sociale che valorizza l'inevitabile "meticciato" in atto nelle società pluralistiche
di oggi”.
Da parte sua – si legge nel testo dell’intervento del porporato
- la chiesa cattolica mette a disposizione di tutti l'esempio della sua unità e della
sua universalità, l'esempio di tanti santi che hanno saputo amare i loro nemici, di
responsabili politici che hanno trovato nel Vangelo il coraggio di vivere la carità
nei conflitti. E' un dato di fatto che i cittadini aderenti a una religione sono la
maggioranza nelle società umane: per il loro numero, per la durata delle loro tradizioni,
per i loro riti, essi sono visibili e quindi costituiscono una risorsa per l'intera
società, nella misura in cui possono favorire l'armonia degli spiriti e delle culture,
nonché il rafforzamento del bene comune. Del resto, i responsabili delle società,
pur mantenendo il principio della distinzione tra chiese e stato, sono "costretti"
a collaborare, sono "condannati" a intendersi senza confondersi, e a frequentarsi
senza contrapporsi. Per mezzo dell'educazione e della collaborazione alle istanze
della vita civica, le autorità civili devono solo prendere atto del fatto religioso,
garantendo che non venga messo in pericolo il patrimonio spirituale morale delle altre
religioni.
Concludendo, il porporato ha posto questa domanda: cosa fare della
libertà religiosa?
I) Prima di tutto per assicurare a tutti le condizioni
positive che permettono a ciascuno di vivere la propria religione e di adorare Dio. 2)
Per poter proporre a tutti quelli che lo desiderano, il messaggio spirituale di cui
essi vivono, e che considerano un bene, anzi un tesoro. 3) Perorando il rispetto
effettivo della dignità della persona umana e dei suoi diritti fondamentali, rafforzando
così il bene comune. 4) Educando al senso della fraternità e della solidarietà
contribuiscono all'umanizzazione delle società di cui sono membri di pieno diritto
(ospedali, volontariato). 5) Mettendo a disposizione di tutti il loro savoir faire:
ogni settimana, milioni di persone di ogni provenienza pregano assieme nel loro tempio.
Essi sono la prova che le differenze non sono pericoli, ma ricchezze. 6) Praticando
uno stile di vita sobrio e solidale, aiutano i loro contemporanei a non diventare
schiavi delle mode, del consumismo e del profitto. I seguaci delle religioni, immersi
nella cultura di oggi e pienamente solidali con essa, liberi di poter dialogare tra
di loro, nonché con i non credenti, possono richiamare con la loro coerenza di vita
la priorità dell'etica sulle ideologie, il primato della persona sulle cose, la superiorità
della mente sulla materia.
Il card. Tauran ha terminato citando il grande giurista
italiano, il gesuita Luigi Taparelli: "Togliete la religione dalla società, e l'uomo
diventerà presto una merce" (Legge naturale, cap. IX).