2013-08-22 15:51:14

Meeting di Rimini: dibattito sul contributo del terzo settore al Pil, intervista con Marco Morganti


Il terzo settore dà un apporto fondamentale al Pil italiano: quasi il 4.3%. E i servizi resi sono cresciuti proprio durante questo periodo di crisi, a sostegno soprattutto delle fasce più deboli. Di questo si è parlato durante un dibattito, nell'ambito del Meeting di Rimini, tra i imprenditori a cui ha partecipato anche Marco Morganti, amministratore delegato di 'Banca Prossima'. Il nostro inviato a Rimini, Alessandro Guarasci, lo ha intervistato:RealAudioMP3

R. – Ci sono in Italia 5 milioni circa di volontari, che agiscono in tutti gli ambiti e in tutte le forme organizzative, e ci sono quasi un milione di occupati retribuiti. Questo rende il terzo settore un settore che, dal punto di vista del numero degli addetti, è grande più della scuola o è grande più del tessile e del chimico messi insieme. Investire in questo settore – noi banche quando parliamo d’investimenti, parliamo di prestiti – e quindi prestare denaro alle organizzazioni del terzo settore è sicuramente una cosa bella, perché ogni volta che si presta del denaro al terzo settore, quel denaro immediatamente si traduce in servizi per la collettività.

D. – Servizi, tra l’altro, spesso, primari...

R. – E’ facile pensare a bisogni primari, quando si parla della non autosufficienza. Un anziano non autosufficiente, che viene aiutato a vivere da una persona che fa parte di un’organizzazione del terzo settore, è chiaramente l’espressione di un bisogno vitale, esistenziale, di sopravvivenza. Ma tutti i bisogni sono importanti. Faccio riferimento, per esempio, al bisogno di cultura. Visitare i musei, per coloro che fanno parte dell’Associazione Amici dei Musei, è un bisogno primario. Prestare denaro a questo mondo, vuol dire veder nascere iniziative di servizio alla collettività, ispirate al bene comune, senza le quali questo Paese non starebbe in piedi. E non ci sarebbe nessuna possibilità di far nascere un welfare che sia l’evoluzione di quello attuale, visto che quello attuale, così com’è, non può più sopravvivere. Allora è bello farlo, ma è anche intelligente farlo, perché il denaro che noi prestiamo è misurato con lo strumento, con il termine di valutazione forse più prosaico che esista, che è quello della qualità del credito, cioè del denaro che torna indietro, restituito regolarmente con i debiti interessi.

D. – Sofferenze bassissime...

R. – Quasi nulle, direi.

D. – Però, oggi una famiglia che, per esempio, vuole chiedere un prestito, si vede magari fare un interesse del 10 per cento; un mutuo, spesso, è tra il 4, il 5 per cento. Perché le aziende del no-profit si rivolgono a voi? Dove riuscite a dare un servizio più a misura d’uomo?

R. – Quando abbiamo pensato a come chiamare questa banca, ci siamo poi orientati sulla parola “prossima” e ci è sembrato che quadrasse tutto: volevamo una banca che fosse vicina, prossima, da un punto di vista territoriale. Noi siamo dappertutto grazie al fatto che appoggiamo la nostra realtà alla struttura degli sportelli del gruppo Intesa San Paolo, che è il più grande in Italia. Questo ha solo un senso locale. Da un punto di vista di specializzazione, volevamo una banca che fosse vicina come competenze ai bisogni di questo mondo. Abbiamo creato, quindi, una banca che facesse solo questo. Io non ho altri mercati. Noi non abbiamo altri mercati, se non il terzo settore o economia sociale. Prestiamo quindi alle opere sociali della Chiesa, alle fondazioni, alle associazioni e alle cooperative sociali. Questo è il nostro mondo.







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