Meeting di Rimini: dibattito sul contributo del terzo settore al Pil, intervista con
Marco Morganti
Il terzo settore dà un apporto fondamentale al Pil italiano: quasi il 4.3%. E i servizi
resi sono cresciuti proprio durante questo periodo di crisi, a sostegno soprattutto
delle fasce più deboli. Di questo si è parlato durante un dibattito, nell'ambito del
Meeting di Rimini, tra i imprenditori a cui ha partecipato anche Marco Morganti,
amministratore delegato di 'Banca Prossima'. Il nostro inviato a Rimini, Alessandro
Guarasci, lo ha intervistato:
R. – Ci sono
in Italia 5 milioni circa di volontari, che agiscono in tutti gli ambiti e in tutte
le forme organizzative, e ci sono quasi un milione di occupati retribuiti. Questo
rende il terzo settore un settore che, dal punto di vista del numero degli addetti,
è grande più della scuola o è grande più del tessile e del chimico messi insieme.
Investire in questo settore – noi banche quando parliamo d’investimenti, parliamo
di prestiti – e quindi prestare denaro alle organizzazioni del terzo settore è sicuramente
una cosa bella, perché ogni volta che si presta del denaro al terzo settore, quel
denaro immediatamente si traduce in servizi per la collettività.
D. – Servizi,
tra l’altro, spesso, primari...
R. – E’ facile pensare a bisogni primari, quando
si parla della non autosufficienza. Un anziano non autosufficiente, che viene aiutato
a vivere da una persona che fa parte di un’organizzazione del terzo settore, è chiaramente
l’espressione di un bisogno vitale, esistenziale, di sopravvivenza. Ma tutti i bisogni
sono importanti. Faccio riferimento, per esempio, al bisogno di cultura. Visitare
i musei, per coloro che fanno parte dell’Associazione Amici dei Musei, è un bisogno
primario. Prestare denaro a questo mondo, vuol dire veder nascere iniziative di servizio
alla collettività, ispirate al bene comune, senza le quali questo Paese non starebbe
in piedi. E non ci sarebbe nessuna possibilità di far nascere un welfare che sia l’evoluzione
di quello attuale, visto che quello attuale, così com’è, non può più sopravvivere.
Allora è bello farlo, ma è anche intelligente farlo, perché il denaro che noi prestiamo
è misurato con lo strumento, con il termine di valutazione forse più prosaico che
esista, che è quello della qualità del credito, cioè del denaro che torna indietro,
restituito regolarmente con i debiti interessi.
D. – Sofferenze bassissime...
R.
– Quasi nulle, direi.
D. – Però, oggi una famiglia che, per esempio, vuole
chiedere un prestito, si vede magari fare un interesse del 10 per cento; un mutuo,
spesso, è tra il 4, il 5 per cento. Perché le aziende del no-profit si rivolgono a
voi? Dove riuscite a dare un servizio più a misura d’uomo?
R. – Quando abbiamo
pensato a come chiamare questa banca, ci siamo poi orientati sulla parola “prossima”
e ci è sembrato che quadrasse tutto: volevamo una banca che fosse vicina, prossima,
da un punto di vista territoriale. Noi siamo dappertutto grazie al fatto che appoggiamo
la nostra realtà alla struttura degli sportelli del gruppo Intesa San Paolo, che è
il più grande in Italia. Questo ha solo un senso locale. Da un punto di vista di specializzazione,
volevamo una banca che fosse vicina come competenze ai bisogni di questo mondo. Abbiamo
creato, quindi, una banca che facesse solo questo. Io non ho altri mercati. Noi non
abbiamo altri mercati, se non il terzo settore o economia sociale. Prestiamo quindi
alle opere sociali della Chiesa, alle fondazioni, alle associazioni e alle cooperative
sociali. Questo è il nostro mondo.