Siria: centinaia di morti in un attacco con gas nervino, ma il governo smentisce.
Il nunzio Zenari: la gente non ce la fa più
E’ incerto il numero delle vittime di un attacco con gas nervino che sarebbe stato
condotto dalle forze governative nei sobborghi di Guta, a Est di Damasco. A riferire
la notizia è l’Osservatorio siriano per i diritti umani, vicino all’opposizione, che
ha parlato di oltre 1300 morti. Un’azione smentita però dal governo di Assad che ha
parlato di “un tentativo di ostacolare il lavoro degli ispettori dell'Onu”, attualmente
in Siria proprio per indagare sull’impiego di armi chimiche nel conflitto. La Lega
Araba ha chiesto che gli ispettori intervengano subito nella zona, mentre una riunione
delle Nazione Unite è invocata a gran voce dall’opposizione. Dopo il diffondersi della
notizia e di terribili immagini che proverebbero questa strage, Manuella Affejee
ha raccolto l’accorato appello di pace del nunzio a Damasco, mons. Mario Zenari:
R. – Hanno colpito
tutti, credo, tutto il mondo queste immagini che circolano in Internet e in televisione:
è veramente uno shock per la comunità internazionale. Qui la gente ormai è stufa e
credo che veramente lancia un grido di allarme alla comunità internazionale per dire:
"Aiutateci affinché questa guerra termini immediatamente! Siamo stufi di questa guerra,
non ne possiamo più! Non si può più andare avanti in questa maniera". Credo che questo
grido salga dai siriani che invocano uno sforzo maggiore della comunità internazionale
per trovare subito una soluzione politica a questa grave crisi.
Intanto,
si fa sempre più preoccupante la situazione umanitaria: migliaia di siriani si stanno
riversando nel Kurdistan iracheno, una zona che non è attrezzata a gestire un tale
flusso di persone. Benedetta Capelli ha intervistato Giacomo Guerrera,
presidente di Unicef Italia, partendo proprio dalla notizia di questo terribile attacco
con l'uso del gas nervino:
R. – Come Unicef,
le notizie sono molte, quelle che pervengono dalla Siria e pervengono da entrambi
i fronti. C’è molta propaganda. Noi abbiamo mobilitato i nostri operatori sul campo
per sapere di più su quanto è avvenuto.
D. – E’ innegabile, però, che la situazione
in Siria sia preoccupante. Nell’ultimo periodo si registra questo flusso di profughi
nel Kurdistan iracheno. Innanzitutto, è una zona attrezzata per accogliere questi
profughi?
R. – No … queste persone sono arrivate nel giro di cinque giorni:
più di 30 mila persone hanno attraversato il Tigri sul ponte di Peshkabur, nel Nord
dell’Iraq, perché è un nuovo valico che si è aperto. Queste persone arrivano in un’area
dove non c’è nulla: non c’è distribuzione idrica, non ci sono fognature, non ci sono
luoghi per un riparo naturale, e le temperature arrivano a oltre 45°! Quindi, l’intervento
delle organizzazioni umanitarie – noi per primi – è quello di correre immediatamente
per distribuire acqua, per portare materiale sanitario, per aiutare soprattutto i
bambini e tutti coloro che si trovano in queste condizioni. Ma anche noi abbiamo bisogno
di aiuto, perché sono oltre due anni che interveniamo, con la più completa disattenzione
da parte della comunità internazionale!
D. – Sono appunto due anni che il conflitto
siriano va avanti ma sembra che la comunità internazionale concretamente non riesca
a indicare una strada per la soluzione. I bambini, però, continuano a soffrire e a
morire …
R. – Possiamo dire che diverse iniziative ci sono state anche a livello
internazionale, però si è sempre fermato tutto in superficie. Noi speriamo di incidere
maggiormente su questo tema. Lo faremo anche in un convegno che realizzeremo nel mese
di settembre proprio per discutere di questo argomento e per cercare di rimetterlo
al centro. Senza l’aiuto della comunità internazionale sarà difficile intervenire
in questi luoghi dove le notizie sono sempre frammentarie, sono contrapposte … non
si sa bene quale sia la verità, ma purtroppo i bambini continuano a morire.
D.
– Per quanto riguarda quest’ultima ondata di profughi in Iraq, quali sono le necessità,
i bisogni che l’Unicef intende evidenziare?
R. – Io le dico quello che i nostri
operatori sul campo ci riferiscono. Queste persone sono arrivate esauste: forse il
termine dice tutto. Hanno urgente bisogno di tutto: dall’acqua, alle medicine, ai
viveri, a un riparo! A un riparo, soprattutto, perché 45° non si sopportano! Non è
semplice soprattutto in zone desertiche dove magari non si trova proprio nulla. E
quindi, l’intervento delle organizzazioni umanitarie è importantissimo. Noi abbiamo
fatto partire dalla nostra "Supply Division" di Copenaghen aiuti immediati per intervenire
in questa località; lo facciamo sempre e lo facciamo dappertutto: lo stiamo facendo
un po’ in tutte le regioni – Libano, Giordania, Turchia, Iraq, in altre zone … Ma
è chiaro che quando improvvisamente si apre un nuovo varco, e arrivano 30, 40 mila
persone, è necessario intervenire… si pensa a come può essere possibile aiutarli senza
una disponibilità adeguata …