Sudafrica: a un anno dal massacro di Marikana, richieste di perdono e nodi irrisolti
In Sudafrica, i proprietari della miniera di Marikana hanno chiesto perdono alle famiglie
dei 34 minatori morti un anno fa, quando la polizia aprì il fuoco sui lavoratori in
sciopero. A 12 mesi di distanza, nel Paese restano comunque tensioni e divisioni:
è di pochi giorni fa la notizia dell’uccisione di una sindacalista nei pressi della
stessa miniera. Il partito di governo, African National Congress, ha accusato gli
avversari politici di voler strumentalizzare il ricordo dei fatti di Marikana, decidendo
dunque di non prendere parte alle cerimonie. Davide Maggiore ha chiesto un’analisi
della situazione a padre Gianni Piccolboni, missionario stimmatino, esperto
del Paese africano:
R. – Marikana
è una delle punte d’iceberg di tutto il sistema economico e minerario sudafricano.
Un po’ come fosse una miccia, ha fatto scoppiare il dramma dei lavoratori, soprattutto
di quelli che lavorano “sotto terra”. Anche il partito al potere, l’Anc (African National
Congress) non si è messo dalla parte dei lavoratori che hanno chiesto un aiuto ed
anche un aumento del salario. Non sono stati presi in considerazione, né ascoltati.
Addirittura la Commissione che è stata predisposta dall’anno scorso - per indagare
sui fatti e sulle sparatorie - non ha portato a nessun risultato. Il fatto che ci
siano stati altri omicidi - non solamente l’ultimo di lunedì scorso - denota una tensione,
una lotta di potere che c’è in questa miniera, e non è solamente la miniera di Marikana,
ma è un po’ il sistema che va in crisi.
D. – Questo è un po’ il paradosso del
Sudafrica, che è indicato a livello mondiale come una delle potenze economiche emergenti
- i famosi Brics - eppure al suo interno sopravvivono queste condizioni lavorative
in molti casi veramente estreme. Come si spiega questo paradosso?
R. – Finché
c’era da combattere un nemico comune, rimanevano tutti insieme ma in realtà c’è una
piaga di fondo che è quella del “potere”: innalzarsi sugli alti e dimenticare da dove
si viene, dimenticare le promesse fatte. Delle promesse fatte molte sono state tradite:
le promesse di una casa, le attese dei lavoratori e poi la distribuzione delle terre…
Tutto un sistema che questa giovane democrazia forse non è riuscita ancora ad avviare.
La ricchezza del sottosuolo – che è un po’ la ricchezza di tutta l’Africa ed anche
del Sudafrica – è anche un po’ la sua rovina.
D. – Su quali fattori bisognerebbe
incidere; quali questioni andrebbero affrontate per impedire che questa grande fonte
di ricchezza diventi invece, come lei dice, una fonte di problemi e di rovina?
R.
– La sete di guadagno, di profitti esagerati, è un po’ dappertutto. Il dialogo con
gli operai è una parola sconosciuta. Purtroppo, finché le rivendicazioni si ottengono
attraverso forme violente penso non si arriverà a nulla. La visione è un po’ da cambiare.
La Chiesa ci dice: “L’uomo prima di tutto”. Dove l’uomo non viene preso in considerazione,
ma sono solamente persone da sfruttare a vantaggio di una piccola minoranza, è chiaro
che non ci sarà mai una soluzione.
D. – Abbiamo accennato all’Anc ai suoi cambiamenti
e alle sue difficoltà. L’anno prossimo ci sono le elezioni: questo clima di tensione
che ancora c’è intorno a Marikana e al settore minerario in genere, potrebbe avere
degli effetti politici?
R. – Sì. Secondo me almeno quelli che lavorano nelle
miniere non daranno il loro sostegno all’Anc. Sono convinto che nelle elezioni qualcosa
cambierà; forse non ci saranno numeri così alti come sono stati in passato.