La disoccupazione diminuisce negli Usa, segnali di ripresa in Europa
La notizia che gli Stati Uniti segnano un ribasso della disoccupazione si è aggiunta
all’annuncio della fine della recessione in Europa. Le richieste di sussidi alla disoccupazione
negli Stati Uniti risultano al livello più basso dal 2007, anno di inizio della crisi.
Mentre nel Vecchio Continente il Pil è tornato a crescere dello 0,3%, dopo 18 mesi
di dati negativi. L’Italia dà debolissimi segnali di miglioramento ma di positivo
c’è che lo spread tra titoli italiani e titoli tedeschi continua a diminuire. Per
capire quale fase stiamo vivendo dopo ben sei anni di crisi mondiale, Fausta Speranza
ha intervistato Giovanni Ferri, docente di economia politica all’Università
Lumsa:
R. – Direi che
sono dei dati positivi da applaudire. Per quanto riguarda l’Europa, è un dato forse
anche più inatteso rispetto a quello americano. In Europa mi sembra una ripresa –
se si conferma – più sostenibile, perché si basa su una condizione di equilibrio nei
conti con l’estero o di surplus nei conti con l’estero. Per gli Stati Uniti c’è l’incognita
che la ripresa continua ad avere gli Stati Uniti come dipendenti dai risparmi esteri.
Nel quadro complessivo, a livello globale, comunque è un segnale importante che siano
ripartite le economie avanzate – Europa e Stati Uniti – perché nel frattempo c’è un
certo raffreddamento della Cina, dell’India e degli altri Paesi emergenti.
D.
– Vediamo l’Italia che continua, però, ad arrancare … sembra ferma …
R. – L’Italia
ha i suoi problemi strutturali che derivano soprattutto da una incapacità di crescita
che a sua volta rende difficile gestire la stabilizzazione del debito pubblico, dell’enorme
debito pubblico che abbiamo ereditato dal passato. Tuttavia, si sono abbassati i tassi
di interesse anche sui titoli pubblici italiani. Questo, per far ripartire l’economia
in Italia naturalmente aprirà dei margini di azione ma la spesa pubblica dovrà essere
produttiva e non improduttiva, come è stata in passato.
D. – Proprio nell’agosto
di sei anni fa scoppiava la crisi, che poi ha travolto anche l’Europa: scoppiava negli
Stati Uniti e, anzi, qualcuno diceva che forse l’Europa sarebbe stata immune. In definitiva,
abbiamo imparato qualcosa?
R. – Abbiamo imparato che non c’è più un paradigma
unico: il mercato può sbagliare. In passato si riteneva che il mercato fosse una cosa
al di sopra di ogni valore, il mercato diveniva un fine a se stesso anziché uno strumento
per dare ricchezza e benessere all’umanità. Abbiamo imparato che ci sono molti modelli,
molte teorie, molte assunzioni che gli economisti fanno e possono fare e quindi ci
vuole maggiore diversità di pensiero.
D. – Solo qualche settimana fa, avevamo
un grande allarme per il Portogallo; adesso sembra che abbia risolto tutti i problemi.
Forse c’è anche un dato di crisi raccontata di cui parlare?
R. – Il
rischio è quello di un sistema che tende a costruire panna montata, a costruire sulla
base di aspettative: i mercati sono fatti così. Il diffondersi di una notizia negativa
può generare un attacco speculativo su un titolo specifico. Il caso del Portogallo
assomiglia un po’ a questo.
D. – Molto diverse, invece, sono situazioni tipo
la Grecia che attraversa una crisi più strutturale …
R. – Sì, però, anche sulla
Grecia abbiamo segnali abbastanza interessanti: per la prima volta, la Grecia è stata
in grado di recuperare un saldo positivo delle partite correnti, cioè non dipende
più dai risparmi che arrivano dall’estero. E per un Paese che è sovra-indebitato questa
è la notizia migliore, se vogliamo. Quindi, ci sono le condizioni perché la Grecia
possa ripartire. Ci sono le condizioni economiche e, poi, bisogna vedere se ci sono
anche le condizioni politiche: si sono generate tensioni a livello sociale di natura
anche nazionalistica, con il sorgere di “Alba dorata”, eccetera. E questo potrebbe
pregiudicare, a livello politico, quello che invece a livello economico sembra essere
una possibile uscita dalla crisi.