2013-08-16 14:03:06

La disoccupazione diminuisce negli Usa, segnali di ripresa in Europa


La notizia che gli Stati Uniti segnano un ribasso della disoccupazione si è aggiunta all’annuncio della fine della recessione in Europa. Le richieste di sussidi alla disoccupazione negli Stati Uniti risultano al livello più basso dal 2007, anno di inizio della crisi. Mentre nel Vecchio Continente il Pil è tornato a crescere dello 0,3%, dopo 18 mesi di dati negativi. L’Italia dà debolissimi segnali di miglioramento ma di positivo c’è che lo spread tra titoli italiani e titoli tedeschi continua a diminuire. Per capire quale fase stiamo vivendo dopo ben sei anni di crisi mondiale, Fausta Speranza ha intervistato Giovanni Ferri, docente di economia politica all’Università Lumsa:RealAudioMP3

R. – Direi che sono dei dati positivi da applaudire. Per quanto riguarda l’Europa, è un dato forse anche più inatteso rispetto a quello americano. In Europa mi sembra una ripresa – se si conferma – più sostenibile, perché si basa su una condizione di equilibrio nei conti con l’estero o di surplus nei conti con l’estero. Per gli Stati Uniti c’è l’incognita che la ripresa continua ad avere gli Stati Uniti come dipendenti dai risparmi esteri. Nel quadro complessivo, a livello globale, comunque è un segnale importante che siano ripartite le economie avanzate – Europa e Stati Uniti – perché nel frattempo c’è un certo raffreddamento della Cina, dell’India e degli altri Paesi emergenti.

D. – Vediamo l’Italia che continua, però, ad arrancare … sembra ferma …

R. – L’Italia ha i suoi problemi strutturali che derivano soprattutto da una incapacità di crescita che a sua volta rende difficile gestire la stabilizzazione del debito pubblico, dell’enorme debito pubblico che abbiamo ereditato dal passato. Tuttavia, si sono abbassati i tassi di interesse anche sui titoli pubblici italiani. Questo, per far ripartire l’economia in Italia naturalmente aprirà dei margini di azione ma la spesa pubblica dovrà essere produttiva e non improduttiva, come è stata in passato.

D. – Proprio nell’agosto di sei anni fa scoppiava la crisi, che poi ha travolto anche l’Europa: scoppiava negli Stati Uniti e, anzi, qualcuno diceva che forse l’Europa sarebbe stata immune. In definitiva, abbiamo imparato qualcosa?

R. – Abbiamo imparato che non c’è più un paradigma unico: il mercato può sbagliare. In passato si riteneva che il mercato fosse una cosa al di sopra di ogni valore, il mercato diveniva un fine a se stesso anziché uno strumento per dare ricchezza e benessere all’umanità. Abbiamo imparato che ci sono molti modelli, molte teorie, molte assunzioni che gli economisti fanno e possono fare e quindi ci vuole maggiore diversità di pensiero.

D. – Solo qualche settimana fa, avevamo un grande allarme per il Portogallo; adesso sembra che abbia risolto tutti i problemi. Forse c’è anche un dato di crisi raccontata di cui parlare?

R. – Il rischio è quello di un sistema che tende a costruire panna montata, a costruire sulla base di aspettative: i mercati sono fatti così. Il diffondersi di una notizia negativa può generare un attacco speculativo su un titolo specifico. Il caso del Portogallo assomiglia un po’ a questo.

D. – Molto diverse, invece, sono situazioni tipo la Grecia che attraversa una crisi più strutturale …

R. – Sì, però, anche sulla Grecia abbiamo segnali abbastanza interessanti: per la prima volta, la Grecia è stata in grado di recuperare un saldo positivo delle partite correnti, cioè non dipende più dai risparmi che arrivano dall’estero. E per un Paese che è sovra-indebitato questa è la notizia migliore, se vogliamo. Quindi, ci sono le condizioni perché la Grecia possa ripartire. Ci sono le condizioni economiche e, poi, bisogna vedere se ci sono anche le condizioni politiche: si sono generate tensioni a livello sociale di natura anche nazionalistica, con il sorgere di “Alba dorata”, eccetera. E questo potrebbe pregiudicare, a livello politico, quello che invece a livello economico sembra essere una possibile uscita dalla crisi.







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