2013-08-15 08:23:06

Massacro in Egitto: oltre 500 morti, attaccate oltre 20 chiese. Il vescovo di Assiut: no a Stato islamico


Egitto. E' stato un massacro. La polizia ha sgomberato ieri con la forza i sit-in dei manifestanti favorevoli al deposto presidente Morsi. Scontri si sono verificati in tutto il Paese. Secondo il governo i morti sono oltre 525 e i feriti più di 3.500, ma per i Fratelli musulmani le vittime sono oltre 4mila. Attaccate oltre 20 chiese cristiane dagli islamisti. E' stato imposto lo stato di emergenza e il coprifuoco dalle 19.00 alle 6.00. La comunità internazionale ha condannato la repressione con in testa il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon. Gli integralisti di Jamaa Islamiya, vicini a Morsi, annunciano la rivoluzione in tutto il Paese se non si metterà fine ai massacri. Tra i morti due giornalisti, una giovane reporter degli Emirati, di origine egiziana e un cameramen di Skynews, ma anche la figlia adolescente di un capo della fratellanza. Ad Alessandria c'è stato anche un assalto armato alla celebre Biblioteca. Intanto si registra il passo indietro di Mohammed El Baradei, dimessosi da vicepresidente ad interim perché, scrive nella lettera inviata al presidente Mansour: ”C’erano opzioni pacifiche per risolvere la crisi”. Iran e Qatar si schierano al fianco dei manifestanti contro il governo egiziano e chiedono che si metta subito fine alla violenza, così come il premier turco Erdogan che interpella direttamente Onu e Lega Araba. Gli Stati Uniti si dicono nettamente contrari allo stato d’emergenza e chiedono il rispetto dei diritti umani.


Sulla situazione, Olivier Bonnel ha intervistato il vescovo cattolico di Assiut, William Kiryllos:RealAudioMP3

R. - Ci aspettavamo la reazione degli islamisti a ciò che sta facendo la polizia; li stanno mandando via dai luoghi delle loro manifestazioni. La prima reazione è stata quella di dire al mondo occidentale e americano: “Il Paese non può andare avanti senza di noi!”. Poi la seconda reazione è stata quella di chiedere l’intervento del mondo occidentale. Ma noi siamo sicuri che questa è la fine degli islamisti, perché l’Egitto non accetta uno Stato religioso, ciò che invece volevano gli islamisti. L’Egitto non accetta uno Stato islamico; vuole separare la religione dello Stato.

D. - Ci sono stati vari attacchi contro le chiese in diverse parti del Paese …

R. - Stiamo seguendo ciò che capita soprattutto a Minya e a Sohag dove hanno bruciato la cattedrale ortodossa. Ad Assiut, grazie al Signore - forse perché la presenza della polizia e dell’esercito è molto sentita - non c’è stato alcun attacco contro le chiese: hanno lanciato solo qualche pietra contro la cattedrale ortodossa.

D. - È possibile - secondo lei - leggere il futuro dell’Egitto in questi momenti?

R. - Adesso, il presidente provvisorio, il nuovo governo e il comitato stanno preparando la Costituzione, dopo ci saranno le elezioni parlamentari e infine quelle presidenziali. Dopo la rivoluzione del 25 gennaio speravamo che il primo passo fosse la nuova Costituzione e che poi venissero le elezioni. Purtroppo gli islamisti hanno condizionato a tal punto la giunta militare che hanno fatto le elezioni prima della Costituzione. Quindi è stata redatta una Costituzione che non rappresenta gli egiziani, una Costituzione interamente di stampo religioso. Da qui è venuta tutta la delusione della popolazione: il presidente aveva fatto tante promesse, ma nulla di ciò che aveva promesso è stato realizzato. La popolazione si è accorta che il presidente stava lavorando per gli interessi del suo partito e non per l’Egitto. Ora speriamo in un futuro migliore per l’Egitto.


Ma ascoltiamo anche il missionario comboniano Giuseppe Scattolin, raggiunto telefonicamente al Cairo da Davide Maggiore:RealAudioMP3

R. – Si condanna la violenza – questo è un tema di lunga data – da qualsiasi parte si aprano negoziati, colloqui, negoziati per risolvere varie questioni; purtroppo, stiamo vivendo una giornata di scontro tra due forze, e da tutte e due le parti – purtroppo – ci sono armi che girano e non sappiamo come andrà a finire. Evidentemente, tutte le religioni devono condannare la violenza!

D. – Arrivando adesso alla situazione che voi vivete, abbiamo visto in queste settimane le piazze contrapposte, ma quale atteggiamento sta tenendo la popolazione civile in questi giorni e in queste ore così drammatiche?

R. – Partendo dalla dimostrazione del 30 giugno, è chiaro che la maggior parte della popolazione dell’Egitto ha rifiutato il governo dei Fratelli musulmani; e quindi era chiaro che c’era un orientamento a riprendere veramente un cammino democratico che era fallito con il governo dei Fratelli musulmani. Quindi c’era campo – io credo – per chi volesse il dialogo, per entrare in dialogo: tutti erano chiamati, anche i Fratelli quindi, a partecipare a questo processo di vera democrazia. Per varie cause, una parte ha rifiutato e è ricorsa, piuttosto, ad un certo tipo di violenza.

D. – Ma perché la popolazione, il fronte laico, insomma, non è riuscito ad unirsi, ad esprimere una leadership unitaria, a suo parere?

R. – Questo riguarda piuttosto la prima fase: a suo tempo l’esercito, come è stato anche in Tunisia, seguendo un vero processo democratico, avrebbe dovuto lasciare il potere e consegnare il procedimento civile a delle parti civili, come la parte giudiziaria, come ha fatto ora …

D. – Però, in questo momento sono in corso delle violenze che fanno temere per il peggio …

R. – Sì: non so se questo fosse l’unico modo di fare, quello di non discutere; però, ci troviamo di fronte ad una dimostrazione armata, con molti estranei all’Egitto che sono venuti, si sono accampati per combattere in favore del sistema precedente! Ci sono dentro siriani, palestinesi, estremisti islamici …

D. – Voi come cristiani, come vivete questa situazione?

R. – I cristiani sono sempre la parte debole della società; hanno molti problemi, ereditati dal passato… I cristiani sono certamente sotto pressione e si sperava che potessero riacquistare una posizione all’interno della società, all’interno di un sistema democratico di rispetto dei diritti umani per tutti, secondo un metodo democratico.







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