2013-08-14 20:46:31

Dopo 22 anni Medici Senza Frontiere lascia la Somalia, mancano le condizioni di sicurezza


Dopo 22 anni Medici Senza Frontiere è costretta a lasciare la Somalia. Lo rende noto la stessa organizzazione umanitaria, denunciando i gravi attacchi al proprio personale, in un Paese dove - spiega Msf – gruppi armati e autorità civili tollerano o assolvono l’uccisione, l’aggressione e il sequestro degli operatori umanitari. In un anno e mezzo, due operatori di Msf sono stati uccisi a Mogadiscio e altri due sono stati rapiti e liberati dopo 21 mesi di prigionia. Francesca Sabatinelli ha intervistato Ettore Mazzanti, operatore di Medici Senza Frontiere:RealAudioMP3

R. – Sofferente, come decisione, perché molto non è cambiato dal primo momento in cui entrammo in quel Paese, e per quello che riguarda la maggior parte della popolazione rimangono ancora scoperti e poco soddisfatti i bisogni primari, ossia un accesso alla salute banale … un’assistenza al parto, le vaccinazioni … si muore ancora di malnutrizione, le cause primarie di morte non sono malattie tropicali ma sono ancora polmonite, diarrea, quindi proprio un indice di sofferenza assoluta nella popolazione … Non è facile! Non è facile, appunto, perché molto abbiamo speso, molto abbiamo cercato di tarare la situazione accettando, anche, compromessi grossi; ma purtroppo, ahinoi!, quello che è stato concordato con i vari detentori del potere durante questi 20 anni e oltre, molto spesso è stato disatteso: quindi la storia purtroppo ci ha portato a dire “ricordiamoci che non siamo supereroi, forse oggi il prezzo è davvero troppo alto”. E’ molto triste. E’ un ammettere una sconfitta umanitaria.

D. – In questi anni di permanenza in Somalia, Medici Senza Frontiere chiaramente ha dovuto trattare con diversi attori: parliamo delle autorità locali, parliamo dei gruppi armati … qual è stato il problema nelle relazioni con loro?

R. – Come in tutti i contesti di difficoltà, indipendentemente da chi sia il detentore ufficiale del potere e che consente comunque l’ingresso, l’attenzione primaria è quella di ritagliarci uno spazio di sicurezza compatibile per poter fare quello che siamo capaci, quindi dare le risposte nel giusto modo alla popolazione che non c’entra nulla nei discorsi politici e di conflitto e di scontri. Questo è stato fatto: è stato fatto ripetutamente ma purtroppo, nonostante ci fossero apparentemente accordi presi, questi non venivano ad essere concreti. L’evoluzione negli anni ci ha portato anche ad episodi tristi, ed oggi si è deciso di prendere questa posizione perché ancora persistono situazioni di troppa instabilità: il rischio è troppo alto e non ci consente di essere presenti. Quello che chiediamo è avere una sicurezza relativa, con la consapevolezza dei rischi, ma che ci consenta di fare quello che siamo capaci di fare.

D. – Msf interromperà tutti i progetti in Somalia e saranno i civili, come avete denunciato voi stessi, a pagare il prezzo più alto …

R. – Lo hanno pagato finora, lo stanno pagando ancora … La nostra speranza è che comunque chi, costatato questo stato delle cose, possa riflettere, eventualmente. Non è un’esclusione assoluta a non rientrare nel Paese, che ha questi bisogni esponenziali; è invitare in maniera forte a ragionare che non è colpa nostra se noi usciamo, ma è perché ci sono situazioni altre che non consentono che noi possiamo rimanere lì. Confidiamo che questo possa far riflettere e ragionare un po’ tutti gli attori coinvolti in funzione di poter in un futuro – e non so dire quando, quando saranno cambiate le dinamiche, quando ci sarà un margine accettabile di sicurezza per noi – rientrare e riprendere a soddisfare questi bisogni enormi.

D. – Non si può non ricordare il grande numero di personale locale che Msf ha impiegato: moltissimi somali che ora si troveranno senza lavoro …

R. – Sì: questo è un altro degli effetti collaterali negativi; non finirò mai di ringraziare lo staff nazionale che è molto più rappresentato che non gli espatriati. Sono un pensiero costante, per noi, ed è sempre triste per me chiudere un progetto. Normalmente, lo chiudiamo perché ci sono situazioni cambiate nel Paese, perché c’è qualcun altro che potrà portare avanti la nostra azione in maniera ottimale … E’ una fatica ulteriore pensare che così tante persone che abbiamo formato, che hanno lavorato con noi, che hanno speso energie, oggi siano nel ciclone del “non-so-domani”, dell’instabilità.







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