Mons. Di Tora: il Papa chiede ai pastori di pensare prima al Popolo di Dio, poi a
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Uno dei discorsi più significativi che Papa Francesco ha pronunciato durante la Gmg
di Rio de Janeiro è stato sicuramente quello rivolto ai vescovi del Celam. Ai pastori
latinoamericani il Papa ha rivolto degli interrogativi che sono in realtà attuali
per ogni pastore della Chiesa. Alessandro Gisotti ha chiesto al vescovo ausiliare
di Roma, mons. Guerino Di Tora, di ritornare a quel discorso, soffermandosi
su alcune delle domande poste dal Papa sulla missione del vescovo nel mondo di oggi:
R. - Anzitutto,
mi pare molto bello il fatto che il Papa non parli soltanto agli altri vescovi, ma
parli anzitutto a se stesso. Quindi dire "Io sono pastore come voi e con voi"
significa che vuole sentirsi in una profonda vicinanza e sintonia con gli altri pastori.
E il primo problema che affronta è proprio quello di una situazione che secondo me
è ordinaria, cioè come conciliare il discorso dell’aspetto amministrativo con quello
pastorale. Io sono stato parroco tanti anni in una grande parrocchia di Roma e quindi
ricordo questa mia preoccupazione ... di far quadrare i conti, di vedere che non ci
fossero cose che andassero male ... Dobbiamo avere sempre chiaro che tutto questo
discorso di struttura della parrocchia, della diocesi, è in funzione della pastorale.
Il primo punto deve rimanere sempre questo anelito, questa ansia di pastoralità! Quindi,
dobbiamo saper vedere anche queste preoccupazioni amministrative, con un aspetto maggiore
di fede, di certezza che quello che stiamo portando avanti è opera di Dio e che quindi
il Signore non ci abbandona, che la Provvidenza che predichiamo agli altri è - da
questo punto di vista - anche per noi.
D. - Il Papa chiede: “Chi è il principale
beneficiario del lavoro ecclesiale, la Chiesa come organizzazione o il popolo di Dio
nella sua totalità?”
R. - Giustamente, dobbiamo sempre ricordarcelo, perché
il rischio di comandare e di possedere è sempre dietro l’angolo. Dobbiamo sempre vedere
che a prevalere non è il discorso della struttura, ma il Popolo di Dio, la comunità,
e quindi l’impegno a favorire queste situazioni. Tante volte si pensa all’abbellimento
delle Chiese. Tante volte anche noi - purtroppo - vediamo che i nuovi parroci quando
arrivano la prima cosa che dicono è: “Rifaccio l’altare!”, senza immaginare, invece,
come prima preoccupazione quella di un piano pastorale, di come arrivare alla gente,
di conoscere quali situazioni di disagio o economico-sociali o strutturali esistono
in quel quartiere, in quella porzione di Chiesa che è quella determinata parrocchia.
D.
- Il Papa rivolge poi una doppia domanda: superiamo la tentazione di prestare attenzione
in maniera reattiva ai complessi problemi che sorgono, e dunque, creiamo una consuetudine
proattiva?
R. - Purtroppo, io immagino che ognuno di noi con il passare del
tempo si affossa un po’. Ci siamo creati una determinata realtà e immaginiamo che
è sempre quella che va avanti. Tante volte non siamo in grado di renderci conto che
oggi il mondo cambia con una velocità impressionante, non solo da un punto di vista
economico, di globalizzazione, ma anche culturale, che quindi ha un suo riverbero
forte anche nel contesto religioso. Su questo dobbiamo essere sempre attenti, proprio
come sentinelle che stanno a guardare, e proprio come dice il Papa di essere in mezzo
alla gente, in mezzo al gregge, per poter capire dove sta andando, cosa sta facendo
e quindi come meglio guidarlo. Probabilmente, l’idea di grandi parrocchie, ci dà anche
il senso della massa... invece il Papa insiste proprio in questa attenzione verso
ogni singola persona. Oggi dobbiamo dire: “Noi dobbiamo andare verso la gente!”; dobbiamo
avere questo movimento centrifugo, non più centripeto.