2013-08-09 15:41:05

I bambini in Afghanistan: il dramma di crescere in guerra


Hanno fatto il giro del mondo le immagini di alcuni bambini afghani che giocano tra di loro puntandosi alla testa armi vere. Un gioco che spesso si trasforma in tragedia, visto che sono decine i minori che in quel Paese muoiono a causa dell’utilizzo improprio di armi da fuoco. Questo, purtroppo, non fa più scalpore in Afghanistan, che in 12 anni di guerra ha cresciuto un'intera generazione a contatto diretto con la violenza quotidiana. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Marco Lombardi, responsabile dei Progetti educativi in Afghanistan dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano:RealAudioMP3

R. – La situazione per i bambini in Afghanistan è drammatica. Abbiamo detto 12 anni di guerra? Sì, ma è solo l’ultima: escono da 30 anni di guerra. Quindi, è più di una generazione di giovani che non ha conosciuto altro che la guerra e la battaglia. E gli strumenti di gioco diventano quelli della quotidianità. Un’arma in casa, un’arma che si è vista usare, ma ancora di più un residuato, come una bomba, diventa una bambolina con la quale giocare. Come se fosse uno strumento qualunque che si trova in giro … Da qui, l’enorme rischio per quei piccoli che crescono in quel Paese.

D. – Quanto è importante la famiglia così come il sistema educativo, per evitare queste drammatiche distorsioni?

R. – E’ fondamentale: sia la famiglia, sia il sistema educativo. Con problemi, evidentemente, diversi: la famiglia, sicuramente, sta al centro dell’educazione di ogni giovane e, come abbiamo detto, l’Afghanistan esce da famiglie che non hanno fatto che provare la guerra. Ricordiamoci che i bambini di 12 anni, oggi, sono figli di genitori che a loro volta non hanno mai visto un attimo di pace. Quindi, la famiglia di per sé ha un problema nell’educare alla pace. Dall’altra parte, il sistema educativo è costruito da un Paese che esiste, da uno Stato che esiste, da un governo che governa. Tutte cose che ancora in Afghanistan mancano.

D. – Un bambino che vive in prima persona la guerra porta con sé un enorme carico di disagi che sicuramente lo farà essere un adulto molto complesso. Come si possono riparare i danni della guerra?

R. – Ha detto bene: è difficile e complesso, ma è possibile. Noi come Università Cattolica siamo in Afghanistan per contribuire a ricostruire il sistema educativo ma non solo attraverso i percorsi formali. Per esempio, attraverso il supporto degli psicologi dell’Università Cattolica che, insieme a sociologi ed educatori, lavorano proprio per recuperare i traumi che i bambini si portano dentro dopo aver vissuto questi anni. Ormai è una lunga esperienza che l’Università Cattolica ha nei luoghi più disagiati del mondo, proprio per assistere i bambini che, essendo il futuro del mondo, devono innanzitutto imparare a convivere con quel disagio ma poi a farlo diventare uno stimolo perché non sia più disagio per i bambini del futuro.

D. – Rispetto a questa vostra lunga esperienza, quali sono le maggiori difficoltà che avete riscontrato e quali, invece, i maggiori risultati che avete ottenuto?

R. – Beh, le difficoltà sono evidentemente economiche e strutturali: teniamo presente che le scuole in Afghanistan chiudono perché fa troppo freddo e perché non c’è la legna, e neppure la stufa per riscaldarsi. Siamo in un Paese che è estremamente caldo o, al contrario, estremamente freddo. Quindi, una difficoltà strutturale. C’è poi una difficoltà educativa: i maestri sono fermi alle competenze date da un’educazione molto di base ed alla loro buona volontà, quindi hanno bisogno di apprendere come insegnare. Ma ci sono anche tanti risvolti positivi. Per esempio due, ancora una volta; uno strutturale: noi seguiamo una scuola che è stata costruita grazie al volere di mons. Moretti, missionario sui iuris in Afghanistan, e dei militari italiani che l’hanno ricostruita; e dall’altra, per quanto riguarda i maestri, un paio di mesi fa siamo tornati in Afghanistan per insegnare ai nostri maestri – come facciamo ogni anno – come educare meglio, ed è stato per noi un enorme risultato sentirsi citati e sentirsi raccontati, perché loro hanno esperito, provato, sperimentato in questo anno le cose che nelle lezioni precedenti avevamo dato loro. Quindi, vuol dire che quello che si dice viene raccolto, rielaborato, utilizzato e quindi il sistema sta crescendo.

D. – Forse non bisognerebbe neanche dimenticare il grande valore che hanno i bambini: dai bambini si può imparare moltissimo e quindi dai bambini si può ricominciare, per un futuro diverso …

R. – E’ fondamentale. I bambini sono la speranza. L’Afghanistan è un Paese antico ma giovane perché deve reinventarsi completamente un futuro che ha perduto, che ha cancellato e che ha cancellato grazie alla stoltezza degli adulti: tutti gli adulti. Quindi, soprattutto in Paesi come quelli – come l’Afghanistan – i bambini sono l’unico investimento possibile, e l’educazione sicuramente il primario.







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