I bambini in Afghanistan: il dramma di crescere in guerra
Hanno fatto il giro del mondo le immagini di alcuni bambini afghani che giocano tra
di loro puntandosi alla testa armi vere. Un gioco che spesso si trasforma in tragedia,
visto che sono decine i minori che in quel Paese muoiono a causa dell’utilizzo improprio
di armi da fuoco. Questo, purtroppo, non fa più scalpore in Afghanistan, che in 12
anni di guerra ha cresciuto un'intera generazione a contatto diretto con la violenza
quotidiana. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Marco Lombardi, responsabile
dei Progetti educativi in Afghanistan dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di
Milano:
R. – La situazione
per i bambini in Afghanistan è drammatica. Abbiamo detto 12 anni di guerra? Sì, ma
è solo l’ultima: escono da 30 anni di guerra. Quindi, è più di una generazione di
giovani che non ha conosciuto altro che la guerra e la battaglia. E gli strumenti
di gioco diventano quelli della quotidianità. Un’arma in casa, un’arma che si è vista
usare, ma ancora di più un residuato, come una bomba, diventa una bambolina con la
quale giocare. Come se fosse uno strumento qualunque che si trova in giro … Da qui,
l’enorme rischio per quei piccoli che crescono in quel Paese.
D. – Quanto è
importante la famiglia così come il sistema educativo, per evitare queste drammatiche
distorsioni?
R. – E’ fondamentale: sia la famiglia, sia il sistema educativo.
Con problemi, evidentemente, diversi: la famiglia, sicuramente, sta al centro dell’educazione
di ogni giovane e, come abbiamo detto, l’Afghanistan esce da famiglie che non hanno
fatto che provare la guerra. Ricordiamoci che i bambini di 12 anni, oggi, sono figli
di genitori che a loro volta non hanno mai visto un attimo di pace. Quindi, la famiglia
di per sé ha un problema nell’educare alla pace. Dall’altra parte, il sistema educativo
è costruito da un Paese che esiste, da uno Stato che esiste, da un governo che governa.
Tutte cose che ancora in Afghanistan mancano.
D. – Un bambino che vive in prima
persona la guerra porta con sé un enorme carico di disagi che sicuramente lo farà
essere un adulto molto complesso. Come si possono riparare i danni della guerra?
R.
– Ha detto bene: è difficile e complesso, ma è possibile. Noi come Università Cattolica
siamo in Afghanistan per contribuire a ricostruire il sistema educativo ma non solo
attraverso i percorsi formali. Per esempio, attraverso il supporto degli psicologi
dell’Università Cattolica che, insieme a sociologi ed educatori, lavorano proprio
per recuperare i traumi che i bambini si portano dentro dopo aver vissuto questi anni.
Ormai è una lunga esperienza che l’Università Cattolica ha nei luoghi più disagiati
del mondo, proprio per assistere i bambini che, essendo il futuro del mondo, devono
innanzitutto imparare a convivere con quel disagio ma poi a farlo diventare uno stimolo
perché non sia più disagio per i bambini del futuro.
D. – Rispetto a questa
vostra lunga esperienza, quali sono le maggiori difficoltà che avete riscontrato e
quali, invece, i maggiori risultati che avete ottenuto?
R. – Beh, le difficoltà
sono evidentemente economiche e strutturali: teniamo presente che le scuole in Afghanistan
chiudono perché fa troppo freddo e perché non c’è la legna, e neppure la stufa per
riscaldarsi. Siamo in un Paese che è estremamente caldo o, al contrario, estremamente
freddo. Quindi, una difficoltà strutturale. C’è poi una difficoltà educativa: i maestri
sono fermi alle competenze date da un’educazione molto di base ed alla loro buona
volontà, quindi hanno bisogno di apprendere come insegnare. Ma ci sono anche tanti
risvolti positivi. Per esempio due, ancora una volta; uno strutturale: noi seguiamo
una scuola che è stata costruita grazie al volere di mons. Moretti, missionario sui
iuris in Afghanistan, e dei militari italiani che l’hanno ricostruita; e dall’altra,
per quanto riguarda i maestri, un paio di mesi fa siamo tornati in Afghanistan per
insegnare ai nostri maestri – come facciamo ogni anno – come educare meglio, ed è
stato per noi un enorme risultato sentirsi citati e sentirsi raccontati, perché loro
hanno esperito, provato, sperimentato in questo anno le cose che nelle lezioni precedenti
avevamo dato loro. Quindi, vuol dire che quello che si dice viene raccolto, rielaborato,
utilizzato e quindi il sistema sta crescendo.
D. – Forse non bisognerebbe neanche
dimenticare il grande valore che hanno i bambini: dai bambini si può imparare moltissimo
e quindi dai bambini si può ricominciare, per un futuro diverso …
R. – E’ fondamentale.
I bambini sono la speranza. L’Afghanistan è un Paese antico ma giovane perché deve
reinventarsi completamente un futuro che ha perduto, che ha cancellato e che ha cancellato
grazie alla stoltezza degli adulti: tutti gli adulti. Quindi, soprattutto in Paesi
come quelli – come l’Afghanistan – i bambini sono l’unico investimento possibile,
e l’educazione sicuramente il primario.