68 anni fa le bombe su Hiroshima. Ban Ki-moon: liberare il mondo dalle armi nucleari
Oltre 55 mila persone si sono raccolte a Hiroshima, presso il Parco della Pace, alle
8.15, l'ora in cui 68 anni fa, da un'altitudine di circa 600 metri, esplose nel cielo
della città giapponese l'ordigno nucleare 'Little Boy' scatenando quello che i sopravvissuti
hanno definito "l'inferno sulla terra": 70 mila persone morirono sul colpo e altrettante
nei mesi successivi. Hanno partecipato rappresentanti di 74 Paesi, il numero più alto
finora registrato. "Siamo tutti insieme in un viaggio da Ground Zero a Global Zero,
ovvero un mondo libero dalle armi di distruzione di massa”, ha dichiarato il segretario
generale dell’Onu, Ban Ki-moon, nel suo intervento, sottolineando che "finchè esisteranno
gli armamenti atomici saremo costretti a vivere sotto un'ombra nucleare". Dei fatti
di Hiroshima e del contesto attuale in cui li ricordiamo, Fausta Speranza ha
parlato con Fabrizio Dal Passo, docente di storia contemporanea all’Università
"La Sapienza" di Roma:
R. - Forse più
di tanti altri avvenimenti, lo scoppio della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki
ha segnato uno stacco epocale. Da alcuni punti di vista e secondo una lettura storiografica
anche abbastanza consolidata, rappresenta il momento di stacco tra il secolo breve
- il ‘900 - e l’era contemporanea più aperta alla globalità. In questo senso quell’estremo
passaggio di violenze e di guerra, che ha chiuso per certi aspetti tutta una serie
di epoche storiche antecedenti, legate ad un certo modo di fare guerra, ha segnato
effettivamente un passaggio ad una realtà completamente diversa. Forse il nodo saliente
che da Hiroshima in poi non è stato ancora sciolto è il concetto di “paura della guerra”,
che secondo me è quello che caratterizza anche oggi il modo di combattere. Non è mai
finita una vera e propria guerra fredda, prima era tra super potenze, ora è nella
minaccia di guerra da parte di gruppi alternativi o eterogenei rispetto ad alcuni
governi, o alcune organizzazioni terroristiche che con la paura cercano di modificare
in qualche modo i piani di politica internazionale. Quindi, da questo punto di vista,
secondo me i 68 anni trascorsi hanno segnato un cambiamento relativo rispetto al modo
di concepire il nemico.
D. – A proposito di questo, la storia che insegna
sempre qualcosa che cosa dovrebbe insegnarci, ricordando Hiroshima e Nagasaki?
R.
– In questo caso, da un punto di vista più emotivo è evidente: semplicemente l’immagine
della distruzione totale della città, della distruzione non soltanto logistica della
città di Hiroshima e Nagasaki, ma anche della popolazione, delle generazioni successive,
dovrebbe far capire a quale livello può arrivare l’essere umano nel tentativo di prevaricazione
e di distruzione. Insegna a comprendere quanto la volontà di sottomettere ed abbattere
un territorio, un Paese, in nome della guerra, ha portato alla distruzione di due
grandi città dell’epoca; alla fine senza nemmeno più contare il peso della vita umana.
Immaginiamo qualcosa come una città intera - 300 mila abitanti – completamente devastata,
quindi tutto quello che era su quel territorio: persone, animali, piante, palazzi.
L’annientamento totale. Sicuramente sconvolgente e non va mai dimenticato e andrebbe
insegnato, mostrato e discusso secondo me nei nostri organigrammi educativi. Il nucleare,
che permette anche altro di positivo come in tutte le grandi potenzialità dell’essere
umano, può portare però in caso di armamenti ad una distruzione totale di qualsiasi
forma di vita, nell’arco di migliaia di chilometri. Il nucleare, nel corso degli ultimi
60 anni, ha portato delle possibilità di sviluppo energetico, anche di energia pulita,
sicuramente importanti; un ritrovamento energetico più innovativo e meno inquinante
rispetto ad altri. Dipende sempre dall’uso che se ne fa. Ma dobbiamo ricordare che
la potenza della bomba di Hiroshima è veramente esigua rispetto alle attuali.
Hiroshima
nel 1945 era una città di notevole importanza militare e industriale, così come il
porto di Nagasaki, la seconda città colpita dalla bomba atomica statunitense, a tre
giorni di distanza nell’operazione denominata ‘Fat Man’. Harry S. Truman, presidente
degli Usa, ha giustificato la scelta del bombardamento atomico come una rapida risoluzione
del conflitto. Il dibattito storico resta aperto come conferma, nell’intervista di
Fausta Speranza, Michele Affinito, docente di storia contemporanea all’Università
Suor Orsola Benincasa di Napoli:
R. – E’ vivo
e nasce già in quel momento: ricordiamo, per esempio, le memorie di Eisenhower che
si pone il problema da questo punto di vista, di una posizione critica rispetto a
questa scelta. Quindi, indubbiamente e indiscutibilmente, forse anche a stretto giro,
quando molti protagonisti di quella esperienza del secondo conflitto mondiale lasceranno
la loro memoria, avremo sicuramente una ripresa ed una vivacità di questo dibattito
che resta peculiare dal punto di vista storiografico sulle scelte strategiche che
sono state compiute in quella fase. Va detto che il dibattito sulla vicenda del bombardamento
atomico su Hiroshima e Nagasaki rientra in un certo senso nella strategia più ampia
delle scelte fatte dall’America: da un lato, in conseguenza soprattutto degli “errori”
che erano stati commessi all’indomani della Prima Guerra Mondiale, quindi la scelta
isolazionista, il mancato perseguimento della strada indicata da Wilson e che aveva
portato, poi, nel giro di un ventennio, alla nascita di totalitarismi in Europa, che
sono stati, di fatto, le cause dello scoppio del conflitto. E dall’altro, l’elemento
simbolico legato appunto all’armamento bellico e quindi alla bomba atomica. Come ebbe
a dire Stalin, “le bombe atomiche sono state fatte per spaventare i deboli di nervi”:
diciamo che poi, di fatto, la Guerra Fredda è stata tutta giocata sul rischio o meno
che le due grandi superpotenze potessero ricorrere a questo espediente. Quindi, una
importantissima e indubbiamente deprecabile – perché il dibattito ovviamente si alimenta
rispetto a questi aspetti – arma di guerra che paradossalmente poi è diventata un’arma
di pace in quel complesso e ampio fenomeno che è stata la Guerra Fredda.
D.
– Ma è cambiato qualcosa nella sensibilità nei confronti dell’immagine di Hiroshima
che anche allora è sembrata spaventosa e forse oggi ancora di più? Quell’annientamento
totale non solo della popolazione, degli animali, del territorio, un’intera città
sterminata in pochi minuti…
R. – Senza ombra di dubbio, come di fatto era stato
testimoniato da una fetta stessa della popolazione americana... lo era già in quel
periodo ma anche successivamente. E possiamo ben vederlo anche rispetto alle posizioni
che in America sono state assunte nei riguardi della guerra al terrorismo, alla teoria
dell’esportazione della democrazia che riguardano, appunto, le scelte che l’America
ha compiuto. La condanna morale è, da questo punto di vista, netta e indiscutibile.
Abbiamo anche le posizioni, assunte in questo campo, da numerosi intellettuali, filosofi....
Oggi, l’“avversario” è, di fatto, un avversario differente, indefinito, con il terrorismo.
E discuteremo sicuramente nei prossimi anni sulle scelte strategiche che gli Stati
Uniti hanno compiuto dopo l’11 settembre.