2013-08-06 15:27:38

20.mo della "Veritatis Splendor". Don Bux: segnò passaggio da moralismo a moralità


La risposta al relativismo morale, il rapporto tra libertà umana e legge divina, il valore della coscienza davanti a Dio. Sono solo alcuni dei cardini sui quali Giovanni Paolo II impostò la sua Enciclica Veritatis Splendor, che il 6 agosto di 20 anni fa veniva promulgata. Un testo che asserisce che le verità assolute sono accessibili ad ogni persona e dunque attualissimo in un contesto culturale che spesso sostiene il contrario. Alessandro De Carolis ne parla in questa intervista con il teologo don Nicola Bux, consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede:RealAudioMP3

R. – La Veritatis Splendor costituisce una pietra miliare nel campo della teologia morale cattolica e non solo cattolica. D’altronde, le parole “Veritatis Splendor” sono in tema con la Trasfigurazione, a voler quasi sottolineare che la verità non è innanzitutto un concetto astratto, ma è una Persona, una Persona che risplende: Gesù Cristo.

D. – Lei parla di questa Enciclica come di una “pietra miliare”: che strada, questa pietra miliare, ha segnato in vent’anni?

R. – Direi, per certi versi, il passaggio da un “moralismo” ad una “moralità”. Il moralismo è qualcosa che poggia sul nostro sforzo, la moralità invece è il risultato di un attingere alla sorgente. Per cui – per quanto riguarda il cristiano – sempre la tentazione del moralismo c’è, cioè di farci da noi stessi, mentre invece noi siamo fatti: siamo fatti morali. E bisogna dire subito che la moralità cristiana attinge ai Sacramenti, cioè sono i Sacramenti che cambiano l’uomo, non è lo sforzo suo a farlo.

D. – Uno dei temi portanti dell’Enciclica è la risposta al relativismo morale, una lotta in senso ampio portata avanti negli ultimi anni in particolare da Benedetto XVI. C’è, però, a livello socioculturale una sordità persistente, oggi, su questo argomento…

R. – Direi anche accresciuta, perché certamente l’Enciclica è stata profetica, come d’altronde lo fu la Humanae Vitae di Paolo VI, perché profeticamente significa che ha visto, ha preavvertito. E quindi, ancora una volta il Papato si rivela come quella “sentinella” di cui parla Gregorio Magno, che in lontananza avverte di ciò che si prepara all’orizzonte. Certamente, siamo oggi in quello che viene definito un gravissimo disastro antropologico che, più il tempo passa, più mostra effetti deleteri che si allargano.

D. – Nell’Enciclica si parla anche dell’importanza della coscienza che l’uomo deve seguire per giungere ad applicare le leggi di Dio nella propria vita. Da tempo, invece, il giudizio della propria coscienza viene spesso considerato alternativo a Dio…

R. – E’ chiaro che la coscienza oggi è intesa nel senso di “faccio quello che mi pare” e quindi è un arbitrio assolutamente sganciato dal riferimento a Dio. Il punto è che la coscienza dell’uomo, oggi, è obnubilata, è offuscata. Certo, alla Chiesa e al Papato incomberà sempre la responsabilità di richiamare il primato della coscienza contro ogni tipo di relativismo e soprattutto – come ha detto Papa Francesco recentemente – di custodire e salvaguardare l’uomo che è continuamente attaccato da quelli che oggi vengono spacciati per diritti, ma che in realtà sono solamente capricci.

D. – Possiamo dire che, vent’anni dopo, le affermazioni della Veritatis Splendor non hanno perso nulla della loro forza?

R. – Giovanni Paolo II, come noto, aveva alle spalle una solida preparazione filosofica e teologica, quanto alla morale. Quindi, potremmo dire che era – per certi versi – il suo campo. E la Veritatis Splendor è stata l’Enciclica che in qualche modo ha portato a compimento il suo percorso, e cioè quello di rileggere – peraltro in continuità con tutta la tradizione della Chiesa – l’uomo nella luce di Cristo. Perciò, la sua prima Enciclica fu la Redemptor Hominis e, alla luce di quell’Enciclica programmatica, si è sviluppato poi il suo lunghissimo percorso che costituisce da solo un monumento magisteriale con cui non si potrà non fare i conti.







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