Tunisia: scontri tra salafiti e militari. Nuova manifestazione antigovernativa
A quattro giorni dalla strage di otto soldati tunisini nella zona del monte Chaambi,
nuovi scontri a fuoco sono scoppiati ieri tra truppe governative e milizie salafite,
al confine con l'Algeria. Lo hanno riferito testimoni sul posto. Un attacco, quello
di inizio settimana che ha scioccato l’opinione pubblica ed ha scatenato accese proteste
contro il governo, accusato di non essere in grado di garantire la sicurezza nel Paese.
Per oggi è stata convocata una manifestazione per chiedere lo scioglimento dell’Assemblea
costituente. Ma cosa sta accadendo politicamente nel Paese? Benedetta Capelli
lo ha chiesto a Luigi Serra, già preside della Facoltà di Studi arabo-islamici
all’Università Orientale di Napoli:
R. - Sta accadendo
qualcosa che solo pochi coraggiosi hanno immaginato. C’è una presa di coscienza della
gente povera e martoriata dalle istituzioni dei poteri dominanti fino a ieri.
D.
- Ma quali sono i diritti che le persone in Tunisia rivendicano?
R. - Il diritto
all’educazione, il diritto a poter disporre della propria libertà di opinione …
D.
- Come mai si è arrivati a questa situazione?
R. - Perché la rivoluzione destabilizza.
La rivoluzione di popolo - tale è quella che si è scatenata in Tunisia poi in Egitto,
poi altrove, successivamente al suicidio del povero ambulante tunisino - destabilizza
un potere, che se scompare con la scomparsa del dittatore, non scompare con il taglio
alla radice. In Tunisia, come in Egitto, ci sono ancora le radici profonde dei successivi
esponenti e rappresentanti di Ben Ali o di Mubarak. Questo è quello che va letto in
termini storico politici ma anche antropologici. La gente lo avverte e avverte anche
che quella destabilizzazione politica causata dalle rivoluzioni della "Primavera araba"
ha rovinato e scosso gli insediamenti forti e dominanti degli interessi occidentali
in quei Paesi.
D. - Ma quanto hanno pesato o stanno pesando gli ultimi omicidi
politici, in particolar modo la scorsa settimana del leader di sinistra Brahmi?
R.
- Gli ultimi omicidi politici pesano moltissimo, perché finalmente la libertà di espressione
- pur nei limiti consentita, la presa di coscienza - anche questa pur nei limiti consentiti
ormai da Internet dai nuovi vettori della comunicazione - hanno fatto capire alla
gente che chi avverte l’obbligo, l’impegno politico di difenderla, finisce per morire.
E allora ecco che la gente si erge a tutela... Quindi, Ennahda non trova più
il suo consenso, i Fratelli musulmani in Egitto sono in crisi… Tutto questo si avvolge
intorno agli episodi di questi giorni.
D. - Eppure Ennahda ha aperto
all’opposizione …
R. - Ha aperto in termini avvertitamente strumentali oramai.
Quindi un’altra forma di presa di coscienza della gente. Comincia a vedere più o meno
chiaro anche nelle manovre politiche, ma, oggettivamente, profondamente dettate dai
dogmi religiosi.
D. - Quindi secondo lei, la Tunisia che è stato il Paese capofila
della Primavera araba, sta aprendo un nuovo capitolo nelle rivoluzioni di questi Paesi
e di quelli vicini?
R. - Indubbiamente sì. La Tunisia sarà un’apripista. Finirà
- pur con il travaglio che dovrà patire, con le titubanze che le cadranno addosso,
proprio per il suo passato di maggiore disponibilità ad aperture democratiche - per
dare ancora indicazioni di rotta che in altri Paesi arabi, musulmani, non sono ancora
esplicitamente avvertite.
D. - In Tunisia si sta registrando una nuova tensione
alla frontiera con l’Algeria …
R. - È una tensione forte, di antico retaggio,
laddove l’Algeria è ben addestrata a mantenere sotto controllo tutti i suoi movimenti
di popolo con delle milizie armate estremamente puntuali. Con la Tunisia, l’Algeria
ha difficoltà a condividere le palpitazioni del popolo tunisino.