Mediaset: dopo conferma condanna, Berlusconi rilancia progetto "Forza Italia"
Ha fatto immediatamente il giro del mondo la sentenza della Cassazione sul processo
Mediaset, con la conferma della condanna di Silvio Berlusconi a quattro anni di reclusione;
e il rinvio alla Corte d’appello di Milano per rideterminare l’interdizione di cinque
anni dai pubblici uffici. L’ex premier parla di accanimento giudiziario senza precedenti,
ma annuncia di voler restare in campo. E mentre il capo dello Stato Napolitano invita
a rispettare la magistratura, le forze politiche riflettono sulle conseguenze della
sentenza sul futuro della legislatura. Servizio di Giampiero Guadagni:
Dopo sette ore
di Camera di Consiglio i giudici della Cassazione hanno dunque confermato definitivamente
la condanna di Berlusconi per frode fiscale in relazione all’acquisto di diritti televisivi,
ma hanno rinviato alla Corte d'Appello di Milano la decisione sulla interdizione dai
pubblici uffici. Dei quattro anni di reclusione, tre sono coperti da indulto, l’anno
residuo è da scontare ai domiciliari o con l'affidamento ai servizi sociali. Decisione
che sarà presa a metà ottobre. Tra 30 giorni, invece, la giunta delle immunità deciderà
sulla decadenza del mandato da senatore di Berlusconi. E mentre i suoi legali, Coppi
e Ghedini, preannunciano un ricorso nelle sedi europee, l’ex premier in un videomessaggio
parla di sentenza fondata sul nulla, definendo irresponsabile una parte della magistratura.
Quanto all’impegno politico, Berlusconi non intende lasciare, anzi rilancia per l’autunno
il progetto Forza Italia. Nel frattempo il Pdl non sembra intenzionato a far cadere
il governo. Immediate e numerose le reazioni. Cautela da Palazzo Chigi: gli interessi
del Paese devono prevalere su quelli di parte, afferma il premier Enrico Letta. La
sentenza va rispettata, eseguita ed applicata, sottolinea il segretario del Pd Epifani.
Ma proprio sul Pd inizia il pressing di Sel e 5 Stelle che chiedono la fine della
maggioranza delle larghe intese. Al Paese serve coesione e serenità, osserva il capo
dello Stato Napolitano che, in una nota, chiede rispetto e fiducia verso la magistratura
e sottolinea: ora ci sono le condizioni per una riforma della giustizia.
Quali
conseguenze avrà sul piano politico questa sentenza della Cassazione? Luca Collodi
lo ha chiesto al prof. Francesco Bonini, ordinario di Scienze politiche
all’Università Lumsa:
R. - Io credo
che paradossalmente questa sentenza, e la situazione che ne consegue, rafforzi - quanto
meno nel breve periodo - il presupposto di necessità da cui è nato il Governo Letta,
con la partecipazione delle maggiori forze politiche e con l’intervento decisivo del
capo dello Stato. Quindi, in questo momento, penso che il governo continui la sua
navigazione, anche proprio nella situazione di smarrimento e di debolezza di tutte
le forze politiche.
D. - Quindi una debolezza che paradossalmente per il governo
diviene un punto di forza…
R. - Paradossalmente sì. Questa è quasi una legge
di lungo periodo della legge italiana, per cui l’equilibrio deriva anche dalla debolezza
degli interlocutori. Un tempo si diceva: lo stato di crisi permanente permette comunque
di trovare stabilità. Certo è una situazione precaria, ma che comunque permette quanto
meno, in questo momento, la sopravvivenza.
D. - Prof. Bonini, lei pensa che
vada fatta una riflessione sul rapporto tra giustizia e politica? C’è un certo disordine
nei rapporti tra poteri dello Stato?
R. - Certamente e ne ha fatto riferimento
anche il capo dello Stato. E’ un problema che viene da lontano, viene ancora prima
di Tangentopoli: il fatto che il nostro sistema costituzione - che si è retto per
decenni su un equilibrio molto complesso - a un certo punto ha cominciato a dare dei
segnali di scricchiolamento. Il problema non è tanto di cambiare regime - passare
da un regime parlamentare a un regime presidenziale o semipresidenziale - quanto di
far giocare effettivamente tutti i poteri dello Stato in coordinamento, in concordia.
Invece stiamo assistendo, ormai da molti anni, ad una conflittualità - a volte latente,
a volte esplicita - che finisce col far pagare a tutto il Paese dei costi molto alti,
perché un sistema politico istituzionale che funziona male, rende il Paese certamente
molto meno competitivo in Europa e anche ormai nel mondo globalizzato.
D.
- Questo disordine istituzionale quanto può incidere in negativo sulla vita democratica
dell’Italia?
R. - A lungo andare in maniera notevole, prima di tutto perché
fiacca le istanze di partecipazione reale: la gente si sente allontanata dalla politica,
dalla gestione della cosa pubblica e dalle istituzioni e questo quindi prova un senso
di malessere e di distanza. Questo è un costo, alla lunga, molto grave. E poi c’è
il costo dell’inefficienza: se le istituzioni non funzionano, se le leggi non si fanno,
non si applicano nei termini giusti e nei termini efficaci, il Paese perde posizioni
e la crisi economica morde in maniera molto più significativa in Italia che presso
i partner concorrenti europei e anche extraeuropei. Quindi, costi molto alti!
D.
- Da tutta questa situazione, i cittadini come possono tornare a gestire il proprio
Paese in prima persona?
R. - Certamente associandosi, certamente facendo pesare
il loro voto, il loro consenso e la loro voce e, quindi, certamente parlando. E poi
sfruttando le possibilità di partecipazione che ci sono, ma sfruttando soprattutto
quel tessuto di associazioni e di mondi vitali che ancora in Italia è forte ed è presente.
Certo ci vogliono anche degli interventi per aprire la forma partito: non tanto nelle
forme plebiscitarie di partecipazione una tantum, ma nelle possibilità di discussione.
Si tratta poi di far ripartire anche i meccanismi di reclutamento dei giovani: sono
i giovani tradizionalmente e strutturalmente quelli che hanno più voglia di partecipare.
Se i giovani non trovano lavoro, se i giovani non trovano audience nelle istituzioni,
se i giovani sono rinchiusi in loro stessi, tutto il sistema della partecipazione
democratica ha dei gravissimi limiti e si respira quell’aria di progressiva decadenza
che aleggia su tutto il nostro Paese.