2013-08-02 07:51:53

Mediaset: dopo conferma condanna, Berlusconi rilancia progetto "Forza Italia"


Ha fatto immediatamente il giro del mondo la sentenza della Cassazione sul processo Mediaset, con la conferma della condanna di Silvio Berlusconi a quattro anni di reclusione; e il rinvio alla Corte d’appello di Milano per rideterminare l’interdizione di cinque anni dai pubblici uffici. L’ex premier parla di accanimento giudiziario senza precedenti, ma annuncia di voler restare in campo. E mentre il capo dello Stato Napolitano invita a rispettare la magistratura, le forze politiche riflettono sulle conseguenze della sentenza sul futuro della legislatura. Servizio di Giampiero Guadagni:RealAudioMP3

Dopo sette ore di Camera di Consiglio i giudici della Cassazione hanno dunque confermato definitivamente la condanna di Berlusconi per frode fiscale in relazione all’acquisto di diritti televisivi, ma hanno rinviato alla Corte d'Appello di Milano la decisione sulla interdizione dai pubblici uffici. Dei quattro anni di reclusione, tre sono coperti da indulto, l’anno residuo è da scontare ai domiciliari o con l'affidamento ai servizi sociali. Decisione che sarà presa a metà ottobre. Tra 30 giorni, invece, la giunta delle immunità deciderà sulla decadenza del mandato da senatore di Berlusconi. E mentre i suoi legali, Coppi e Ghedini, preannunciano un ricorso nelle sedi europee, l’ex premier in un videomessaggio parla di sentenza fondata sul nulla, definendo irresponsabile una parte della magistratura. Quanto all’impegno politico, Berlusconi non intende lasciare, anzi rilancia per l’autunno il progetto Forza Italia. Nel frattempo il Pdl non sembra intenzionato a far cadere il governo. Immediate e numerose le reazioni. Cautela da Palazzo Chigi: gli interessi del Paese devono prevalere su quelli di parte, afferma il premier Enrico Letta. La sentenza va rispettata, eseguita ed applicata, sottolinea il segretario del Pd Epifani. Ma proprio sul Pd inizia il pressing di Sel e 5 Stelle che chiedono la fine della maggioranza delle larghe intese. Al Paese serve coesione e serenità, osserva il capo dello Stato Napolitano che, in una nota, chiede rispetto e fiducia verso la magistratura e sottolinea: ora ci sono le condizioni per una riforma della giustizia.


Quali conseguenze avrà sul piano politico questa sentenza della Cassazione? Luca Collodi lo ha chiesto al prof. Francesco Bonini, ordinario di Scienze politiche all’Università Lumsa:RealAudioMP3

R. - Io credo che paradossalmente questa sentenza, e la situazione che ne consegue, rafforzi - quanto meno nel breve periodo - il presupposto di necessità da cui è nato il Governo Letta, con la partecipazione delle maggiori forze politiche e con l’intervento decisivo del capo dello Stato. Quindi, in questo momento, penso che il governo continui la sua navigazione, anche proprio nella situazione di smarrimento e di debolezza di tutte le forze politiche.

D. - Quindi una debolezza che paradossalmente per il governo diviene un punto di forza…

R. - Paradossalmente sì. Questa è quasi una legge di lungo periodo della legge italiana, per cui l’equilibrio deriva anche dalla debolezza degli interlocutori. Un tempo si diceva: lo stato di crisi permanente permette comunque di trovare stabilità. Certo è una situazione precaria, ma che comunque permette quanto meno, in questo momento, la sopravvivenza.

D. - Prof. Bonini, lei pensa che vada fatta una riflessione sul rapporto tra giustizia e politica? C’è un certo disordine nei rapporti tra poteri dello Stato?

R. - Certamente e ne ha fatto riferimento anche il capo dello Stato. E’ un problema che viene da lontano, viene ancora prima di Tangentopoli: il fatto che il nostro sistema costituzione - che si è retto per decenni su un equilibrio molto complesso - a un certo punto ha cominciato a dare dei segnali di scricchiolamento. Il problema non è tanto di cambiare regime - passare da un regime parlamentare a un regime presidenziale o semipresidenziale - quanto di far giocare effettivamente tutti i poteri dello Stato in coordinamento, in concordia. Invece stiamo assistendo, ormai da molti anni, ad una conflittualità - a volte latente, a volte esplicita - che finisce col far pagare a tutto il Paese dei costi molto alti, perché un sistema politico istituzionale che funziona male, rende il Paese certamente molto meno competitivo in Europa e anche ormai nel mondo globalizzato.

D. - Questo disordine istituzionale quanto può incidere in negativo sulla vita democratica dell’Italia?

R. - A lungo andare in maniera notevole, prima di tutto perché fiacca le istanze di partecipazione reale: la gente si sente allontanata dalla politica, dalla gestione della cosa pubblica e dalle istituzioni e questo quindi prova un senso di malessere e di distanza. Questo è un costo, alla lunga, molto grave. E poi c’è il costo dell’inefficienza: se le istituzioni non funzionano, se le leggi non si fanno, non si applicano nei termini giusti e nei termini efficaci, il Paese perde posizioni e la crisi economica morde in maniera molto più significativa in Italia che presso i partner concorrenti europei e anche extraeuropei. Quindi, costi molto alti!

D. - Da tutta questa situazione, i cittadini come possono tornare a gestire il proprio Paese in prima persona?

R. - Certamente associandosi, certamente facendo pesare il loro voto, il loro consenso e la loro voce e, quindi, certamente parlando. E poi sfruttando le possibilità di partecipazione che ci sono, ma sfruttando soprattutto quel tessuto di associazioni e di mondi vitali che ancora in Italia è forte ed è presente. Certo ci vogliono anche degli interventi per aprire la forma partito: non tanto nelle forme plebiscitarie di partecipazione una tantum, ma nelle possibilità di discussione. Si tratta poi di far ripartire anche i meccanismi di reclutamento dei giovani: sono i giovani tradizionalmente e strutturalmente quelli che hanno più voglia di partecipare. Se i giovani non trovano lavoro, se i giovani non trovano audience nelle istituzioni, se i giovani sono rinchiusi in loro stessi, tutto il sistema della partecipazione democratica ha dei gravissimi limiti e si respira quell’aria di progressiva decadenza che aleggia su tutto il nostro Paese.







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