Compie 30 anni l’Arsenale della Pace. Olivero: una casa della speranza in cui si vede
Dio
Compie 30 anni l’Arsenale della pace. Era il 2 agosto 1983 quando un rudere ancora
pieno di strumenti con cui si fabbricavano armi, veniva trasformato in casa della
speranza e del ‘Sermig’, il Servizio missionario giovani. Uno spazio, arricchito oggi,
dalla presenza di molteplici realtà, tra cui un poliambulatorio medico, una scuola
di musica, un asilo e un oratorio. A presiedere la celebrazione eucaristica per l'occasione,
mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, nella Chiesa dedicata a Maria Madre
dei giovani. Dopo la Santa Messa, si svolge una marcia della speranza lungo le strade
della città piemontese. Quale insegnamento si può trarre ripercorrendo il solco tracciato
dall’Arsenale della pace lungo questi trenta anni? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto
al fondatore del Sermig, Ernesto Olivero:
R. – Abbiamo
maggiormente le chiavi del futuro. Futuro vuol dire che la Chiesa può diventare veramente
il sogno di Dio, che la politica può diventare veramente servizio, che nessun uomo
possa sentirsi escluso.
D. – Quali, in particolare, i progetti realizzati nel
corso di questi anni e quali, anche, le ambizioni per il futuro?
R. – Quando
siamo entrati qui, il 2 agosto del 1983, eravamo un piccolissimo gruppo missionario.
‘Sermig’ vuol dire appunto ‘Servizio missionario giovani’. Tutta una serie di appuntamenti,
che Dio aveva previsto per noi, ci hanno allargato l’orizzonte. Io rimango veramente
stupito nel pensare che la prima lettera, giunta all’Arsenale, è arrivata dal Carcere
speciale di Palmi, dove le Brigate Rosse – attraverso Claudio Carboni, il capo dei
Nuclei armati proletari (Nap) – chiedevano a noi di entrare in contatto con loro perché
volevano uscire fuori da questo buco nero. Quando noi siamo entrati nell’Arsenale,
non avevamo una lira. Ci volevano 100 miliardi per metterlo a posto! E abbiamo sentito
l’esigenza di non bussare alle casse degli enti pubblici, ma di testimoniare questo
nostro sogno. In poco tempo, milioni e milioni di persone dall’Italia e da tutto il
mondo sono venute a portarci la loro disponibilità. E il primo Arsenale di guerra
è stato trasformato in un Arsenale di pace. Se Dio vuole che facciamo altre cose,
lui sa come dircelo, lui sa che noi siamo davvero disponibili ad aiutare, specialmente
i giovani, a capire il senso profondo che hanno nel cuore.
D. – Capire il senso
profondo del cuore, come fece Paolo VI nel 1974, quando la accolse in udienza. Lei
era un giovane con la speranza, nel cuore, in una Chiesa nuova …
R. – Si è
lasciato interpellare da me, quando io ho detto al Santo Padre: “Questa Chiesa non
ci piace: è troppo staccata dalla gente! I giovani non la vedono”. Il Papa non ha
sentito da me un atto di accusa, ma un atto d’amore. E il Papa mi ha abbracciato e
mi ha detto che avevo ragione. Mi ha detto che sperava si potesse realizzare da Torino,
dal Piemonte – terra di Santi – una rivoluzione d’amore. Quindi, una riconoscenza
immensa per questo grandissimo uomo di Dio che non si è lasciato scandalizzare dalle
frasi di un ragazzo, che poteva sembrare inopportuno …
D. – L’Arsenale è una
testimonianza viva di come, con la forza del Vangelo, si possano disarmare l’odio
e le voci della guerra …
R. – Noi siamo cresciuti grazie a quel campanello
che ha suonato. Quando la gente ha visto ‘Arsenale della pace’, Casa della speranza’
è venuta a portarci la propria disperazione, le proprie vite. E quante persone sono
uscite fuori da giri immondi, banditi, persone che sono scappate dai loro Paesi …
L’Arsenale è una delle tante testimonianze del fatto che Dio esiste e che la bontà
della gente è capace di cambiare tante, tante situazioni …