Berlusconi. Condanna esecutiva. Nel pomeriggio riunione del Pdl
IL Pm di Milano, Pomarici, ha appena firmato il decreto di esecuzione della pena con
sospensione per Berlusconi, condannato in via definitiva per il caso Mediaset. Nel
pomeriggio riunione del Pdl attorno al capo per stabilire la strategia, mentre Letta
si affida alla responsabilità dei partiti: fermarci ora, dice il premier, sarebbe
un delitto. Francesca Sabatinelli:
E’ la stampa
anglosassone a prospettare senza mezzi termini ciò che il mondo politico italiano
cerca di evitare di dire: il governo è a serio rischio dopo la sentenza di ieri della
Cassazione. Letta ripete: sarebbe un delitto fermarsi ora, c’è prima di tutto il paese,
poi vengono gli altri interessi. Aprire una crisi ora, sembrerebbe opinione comune,
non conviene a nessuno, ognuno si assuma le proprie responsabilità. Il Pdl dopo lo
choc serra i ranghi, oggi pomeriggio convocazione di Berlusconi dei gruppi di Camera
e Senato per mettere a punto la strategia. Il cavaliere li ha tutti attorno, il momento
è difficile, spiegano i fedelissimi, ma resta il leader. La procura di Milano ha appena
emesso il decreto di esecuzione della pena con sospensione per Berlusconi, che avrà
quindi 30 giorni per chiedere le misure alternative al carcere. E già da oggi potrebbero
cominciare le misure restrittive come la revoca del passaporto. Al Pd nel frattempo
arriva il richiamo di Bersani che chiede una discussione seria sulla nuova situazione,
e una posizione univoca del partito. Letta – aggiunge l’ex segretario democratico
– venga a dirci la sua.
Quali conseguenze avrà sul piano politico questa sentenza
della Cassazione? Luca Collodi lo ha chiesto al prof. Francesco Bonini,
ordinario di Scienze politiche all’Università Lumsa: R. - Io credo che
paradossalmente questa sentenza, e la situazione che ne consegue, rafforzi - quanto
meno nel breve periodo - il presupposto di necessità da cui è nato il Governo Letta,
con la partecipazione delle maggiori forze politiche e con l’intervento decisivo del
capo dello Stato. Quindi, in questo momento, penso che il governo continui la sua
navigazione, anche proprio nella situazione di smarrimento e di debolezza di tutte
le forze politiche.
D. - Quindi una debolezza che paradossalmente per il governo
diviene un punto di forza…
R. - Paradossalmente sì. Questa è quasi una legge
di lungo periodo della legge italiana, per cui l’equilibrio deriva anche dalla debolezza
degli interlocutori. Un tempo si diceva: lo stato di crisi permanente permette comunque
di trovare stabilità. Certo è una situazione precaria, ma che comunque permette quanto
meno, in questo momento, la sopravvivenza.
D. - Prof. Bonini, lei pensa che
vada fatta una riflessione sul rapporto tra giustizia e politica? C’è un certo disordine
nei rapporti tra poteri dello Stato?
R. - Certamente e ne ha fatto riferimento
anche il capo dello Stato. E’ un problema che viene da lontano, viene ancora prima
di Tangentopoli: il fatto che il nostro sistema costituzione - che si è retto per
decenni su un equilibrio molto complesso - a un certo punto ha cominciato a dare dei
segnali di scricchiolamento. Il problema non è tanto di cambiare regime - passare
da un regime parlamentare a un regime presidenziale o semipresidenziale - quanto di
far giocare effettivamente tutti i poteri dello Stato in coordinamento, in concordia.
Invece stiamo assistendo, ormai da molti anni, ad una conflittualità - a volte latente,
a volte esplicita - che finisce col far pagare a tutto il Paese dei costi molto alti,
perché un sistema politico istituzionale che funziona male, rende il Paese certamente
molto meno competitivo in Europa e anche ormai nel mondo globalizzato.
D.
- Questo disordine istituzionale quanto può incidere in negativo sulla vita democratica
dell’Italia?
R. - A lungo andare in maniera notevole, prima di tutto perché
fiacca le istanze di partecipazione reale: la gente si sente allontanata dalla politica,
dalla gestione della cosa pubblica e dalle istituzioni e questo quindi prova un senso
di malessere e di distanza. Questo è un costo, alla lunga, molto grave. E poi c’è
il costo dell’inefficienza: se le istituzioni non funzionano, se le leggi non si fanno,
non si applicano nei termini giusti e nei termini efficaci, il Paese perde posizioni
e la crisi economica morde in maniera molto più significativa in Italia che presso
i partner concorrenti europei e anche extraeuropei. Quindi, costi molto alti!
D.
- Da tutta questa situazione, i cittadini come possono tornare a gestire il proprio
Paese in prima persona?
R. - Certamente associandosi, certamente facendo pesare
il loro voto, il loro consenso e la loro voce e, quindi, certamente parlando. E poi
sfruttando le possibilità di partecipazione che ci sono, ma sfruttando soprattutto
quel tessuto di associazioni e di mondi vitali che ancora in Italia è forte ed è presente.
Certo ci vogliono anche degli interventi per aprire la forma partito: non tanto nelle
forme plebiscitarie di partecipazione una tantum, ma nelle possibilità di discussione.
Si tratta poi di far ripartire anche i meccanismi di reclutamento dei giovani: sono
i giovani tradizionalmente e strutturalmente quelli che hanno più voglia di partecipare.
Se i giovani non trovano lavoro, se i giovani non trovano audience nelle istituzioni,
se i giovani sono rinchiusi in loro stessi, tutto il sistema della partecipazione
democratica ha dei gravissimi limiti e si respira quell’aria di progressiva decadenza
che aleggia su tutto il nostro Paese.