Nuovo monito del governo egiziano ai Fratelli musulmani: via dalle piazze
In Egitto sale la tensione dopo la decisione del governo di far sgomberare le piazze
occupate di Fratelli musulmani. In una dichiarazione in tv, il portavoce del Ministero
dell'Interno ha chiesto ai manifestanti di essere “saggi” e di lasciare i presidi
in cambio di un'uscita sicura e una protezione totale. Questa decisione è dunque l’ennesimo
muro contro muro tra le parti? Al microfono di Benedetta Capelli risponde
Antony Santilli docente di lingua e cultura araba alla Luiss di Roma:
R. – Possiamo
dire senza ombra di dubbio di sì, nel senso che è un muro contro muro maturato ormai
da mesi, in realtà da quando è scoppiata la prima fase della rivoluzione egiziana.
L’esercito ha governato e guidato il processo di transizione egiziano nei primi mesi,
ha tentato di resistere alle pressioni che dall’esterno e dall’interno sono state
esercitate nei suoi confronti per attuare un processo di transizione democratico trasparente.
Oggi possiamo sostanzialmente dire che ha preso la sua rivincita, legittimato da una
piazza scontenta dell’operato della Fratellanza islamica al governo.
D. – Ma,
secondo lei, da questa impasse poi come si può venire fuori?
R. – La situazione
è oggettivamente critica e le previsioni sono veramente difficili; sostanzialmente,
l’esercito – il Consiglio supremo delle Forze armate – ha delegittimato un processo
elettorale giudicato da tutti gli organismi internazionali come trasparente, se pure
con i normali difetti che possono prodursi nel momento elettorale in Paesi che per
anni non hanno adoperato questo tipo di processi decisionali. Allo stesso tempo, questo
atteggiamento dell’esercito, sostenuto dalle piazze che per mesi hanno continuato
con mobilitazioni e proteste, rappresenta un precedente che è stato avvallato anche
dal silenzio delle potenze occidentali. Quest’ultime hanno sostanzialmente comunicato
la loro preoccupazione senza però essere determinate nel fermare l’operato dell’esercito
contro i Fratelli musulmani e contro il processo di transizione in corso.
D.
– Ieri, la visita al deposto presidente Morsi da parte di una delegazione dell’Unione
Africana e prima ancora c’era stata la visita della diplomatica europea, Ashton. Si
sta effettivamente facendo un pressing per la pacificazione dell’Egitto?
R.
– Si: un pressing alquanto sterile, a mio avviso, soprattutto perché il pressing
si sarebbe dovuto fare prima dell’intervento dei militari che, secondo fonti acclarate,
era già noto all’establishment degli Stati Uniti. Da questo punto di vista,
le dichiarazioni ultime del governo statunitense non sono dichiarazioni che possano
farci sperare in una pacificazione immediata. Infatti, parlare – come per esempio
ha fatto recentemente il governo degli Stati Uniti – di una garanzia che l’esercito
deve dare alla popolazione egiziana perchè possa manifestare liberamente e pacificamente
nel Paese, significa chiedere una garanzia alquanto sterile. Non dimentichiamo che
l’esercito stesso è stato sostenuto da anni proprio dagli Stati Uniti attraverso un
finanziamento costante, sia di armamenti sia nella sua leadership politica. Gli Stati
Uniti sono coloro che, assieme all’Unione Europea, hanno detto sì al processo di transizione
egiziano, culminato nell’elezione dell’Assemblea per la promulgazione del testo costituzionale,
ma oggi queste stesse potenze sono silenti di fronte ad un intervento delle forze
armate che non si sono limitate solo a deporre i Fratelli musulmani, ma hanno sospeso
il testo costituzionale e sono intenzionate anche ad utilizzare le maniere forti nei
confronti dei sit-in in sostegno al deposto presidente Morsi.