Egitto: morti a decine negli scontri tra esercito e manifestanti
Ancora scontri in Egitto tra polizia e attivisti pro-Morsi. All’alba di oggi, le forze
dell’ordine hanno colpito un sit-in dei Fratelli musulmani davanti alla moschea di
Rabaa Al-Adawiya, nel nordest del Cairo. Incerto il numero delle vittime. Il ministero
della Sanità parla di 21 morti e 180 feriti, mentre il portavoce della fratellanza
islamisti conta 120 morti e oltre seimila feriti. L’Unione Europea ha condannato con
forza le violenze e tramite l’Alto rappresentante per la politica estera, Catherine
Ashton, ha auspicato “un rapido progresso verso un processo di transizione il più
inclusivo possibile”. Sulla crisi egiziana, Michele Raviart ha chiesto l'opinione
di Luciano Ardesi, esperto dell’area nordafricana:
R. – Sono purtroppo
situazioni che si sono già viste in quell’area, come ad esempio nel caso dell’Algeria,
quando nel ’92 un colpo di Stato sospese il processo elettorale che avrebbe sicuramente
portato i fondamentalisti al potere. Però, storicamente si vede come il corpo militare
non è in grado di gestire a lungo i destini di un Paese. Anche il modo con cui si
stanno affrontando le manifestazioni, dimostra l’incapacità di gestire la lotta politica
in generale: l’esercito, le forze dell’ordine egiziane in questo momento stanno gestendo
l’ordine pubblico in modo tale da portare sicuramente un aumento delle tensioni nel
Paese.
D. – Il ministro degli Interni ha detto che i sit-in dei Fratelli Musulmani
saranno sgombrati “nel rispetto della legge”. Che cosa teme il governo da questi assembramenti?
R.
– Il governo di transizione cerca di ristabilire una normalità, ma è impossibile che
si possa pensare di restaurarla semplicemente gestendo l’ordine pubblico, quindi sgombrando
le manifestazioni di piazza. Ci vuole un’iniziativa politica di ben altra natura.
D.
– Abbiamo visto in questi giorni le strade del Cairo piene di migliaia di persone
che manifestano. Qual è il ruolo del popolo, del semplice cittadino in questa situazione?
R.
– La mia impressione è che la gestione del potere del governo Morsi in quest'anno
sia stata molto carente. Non ha assolutamente risposto alle esigenze della popolazione.
Di qui, la ripresa della piazza da parte di quelli che sono gli oppositori alla Fratellanza
musulmana e che ha indotto l’esercito ad intervenire. Sicuramente, ci saranno gruppi
di potere, partiti politici che alimentano le proteste, però c’è un’insoddisfazione
di base. Le "primavere arabe" soprattutto avevano risvegliato un sogno: questo sogno
non si è realizzato e da qui la frustrazione e la ripresa della protesta.
D.
– Abbiamo visto che i Fratelli musulmani sono stati allontanati dal nuovo governo
in Egitto e sono bersaglio delle proteste in Tunisia e anche in Libia le loro sedi
sono state assaltate. A questo punto quali sono le prospettive della Fratellanza?
R.
– E’ il grande interrogativo di oggi. In questi Paesi – Egitto, Tunisia e anche Libia
– hanno dimostrato la propria incapacità nel gestire i problemi di un Paese. La Fratellanza
musulmana non ha un’esperienza politica nel senso dei partiti politici tradizionali.
Certo, rimane un legame molto forte con diversi strati della popolazione: non dimentichiamo
che negli anni delle dittature – quella di Mubarak in Egitto e di Ben Ali in Tunisia
– la Fratellanza, o comunque i movimenti fondamentalisti, sono quelli che hanno mantenuto
il rapporto con la popolazione e che hanno anche fatto in qualche modo da “supplenza”
a uno Stato che era incapace di rispondere ai bisogni della popolazione più povera
e più discriminata. In quegli anni, ha conquistato un capitale di fiducia molto forte
e che oggi in parte ha disperso, ma che sicuramente rimane. C’è un nocciolo duro di
popolazione che è in qualche modo fedele al loro ideale.