Migliaia in piazza in Tunisia dopo l'uccisione del leader dell'opposizione Brahmi
In Tunisia migliaia di persone sono scese in piazza ieri in segno di protesta contro
l’uccisione del leader dell’opposizione laica Mohamed Brahmi, colpito, secondo le
autorità, da un attivista islamico radicale. Un manifestante, a Gafsa, è rimasto ucciso
dal lancio di un lacrimogeno. Intanto, 42 deputati appartenenti all’opposizione si
sono ritirati dall’Assemblea nazionale per chiederne il suo scioglimento e la caduta
del governo guidato da Ennahda, partito islamista al potere. Intanto, secondo il ministro
dell'Interno tunisino, l'arma da fuoco utilizzata per uccidere ieri in Tunisia l'esponente
dell'opposizione laica, Mohamed Brahmi, è la stessa con la quale il 6 febbraio scorso
fu freddato, Chokri Belaid, altro leader delle forze d'opposizione.
Secondo
fonti interne, il principale sospettato dell'azione sarebbe l’esponente salafita,
Boubacar Hakim, già ricercato per contrabbando di armi dalla Libia. Dopo l’agguato,
alcuni esponenti politici dell’opposizione avevano puntato il dito contro il partito
islamista al governo Ennahda. Ma cosa sta succedendo in Tunisia? Marco Guerra
lo ha chiesto a Umberto Melotti, docente di Sociologia politica alla Sapienza
ed esperto di islam e terrorismo:
R. – E’ difficile
confermare o smentire la sensazione di un mandante morale delle forze islamiste per
questo omicidio. Certo che la situazione è tale da fare pensare a una reazione di
quel tipo. Il Paese è da poco entrato in una fase tendenzialmente più democratica
di quanto non fosse al tempo del regime di Ben Alì. Queste situazioni violente, purtroppo,
sono presenti in circostanze di cambio e di transizione. Diciamo che ci sono confronti
e conflitti molto aspri, non ancora metabolizzati da una cultura democratica diffusa
e radicata.
D. – Dopo l’Egitto con i Fratelli musulmani e la Tunisia con Hennada,
stiamo assistendo al fallimento dell’islam politico…
R. – Io non ho mai creduto
tanto al successo dell’islam politico, per la verità. Se di fallimento si vuole parlare,
la cosa non mi meraviglia affatto. In realtà, ciò che aveva suscitato l’entusiasmo
della popolazione era stata una vera e propria rivoluzione che in varie forme ha toccato
molti dei Paesi del Nordafrica. Questa rivoluzione era più contro l’assetto di potere
esistente nei suoi aspetti economici e nei suoi aspetti politici. Ovviamente, alcune
di queste forze affiancavano anche una reazione di carattere culturale, e fra queste
– per l'appunto – vi erano le componenti più vicine al dettato radicale dell’islam,
vissuto anche come contrapposizione alla visione del mondo importata dall’Occidente.
Vi sono tante spinte diverse, per questo accennavo agli elementi contraddittori. E’
difficile, oggi, effettuare una prognosi su quelle che saranno le forze che sapranno
affermarsi e dare quindi un futuro a queste richieste di rinnovamento del Paese che,
per il momento, sono ancora estremamente ambigue.
D. – Ma la piazza contesta
prima i leader autocratici e poi le formazioni islamiste, ma anche i militari…
R.
– Le situazioni economiche, sono quelle che hanno fatto precipitare la situazione,
non soltanto agli inizi del movimento nel 2011: io ricordo che in Tunisia, ma anche
in Algeria, erano stati movimenti proprio per il pane a dare il via alle proteste,
é una delle spinte che da tempo erano presenti nel Paese. Pesa anche l’esasperazione
dovuta all’alto tasso di disoccupazione, per la difficoltà di trovare lavoro per i
giovani che, in virtù degli studi compiuti, dell’occidentalizzazione, degli strumenti
di comunicazione internazionale che hanno, sono abituati a nutrire speranze che si
confrontano direttamente con quelle dei Paesi europei con cui vi sono particolari
rapporti.