2013-07-25 16:32:38

Il Papa e il no a droga e dipendenze. L'Onu: le sue parole un incoraggiamento


Il secco no alla legalizzazione delle droghe e alla piaga del narcotraffico lanciato da Francesco ancora risuona nell’ospedale di San Francesco d’Assisi di Rio, che ha visto il commovente abbraccio tra il Pontefice e i pazienti, affetti dalla dipendenza di alcool e droga. “Abbracciare non è sufficiente”, ha detto Francesco, per il quale occorre tendere la mano a chi è caduto nel buio della dipendenza. Parole accolte con grande soddisfazione da chi si definisce “il volto umano” della lotta alla droga, come Gilberto Gerra, medico, docente universitario, Capo dipartimento prevenzione droga e salute dell’Unodc, l'Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine, con sede a Vienna. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:RealAudioMP3

R. – Per noi dell’Organizzazione internazionale che si occupa della droga e del crimine è stato estremamente incoraggiante questo messaggio di Papa Francesco, in piena sintonia con una posizione espressa nell’ultima dichiarazione politica da tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite all’unanimità. E cioè, le droghe illegali non debbono diventare una strategia di vita, rimangono pericolose, riconosciute come pericolose per lo sviluppo dei Paesi e per la salute delle giovani generazioni. Devo dire che il messaggio di Papa Francesco è stato – ben prima delle sue parole – quello di andare in visita a un centro di cura per la dipendenza da sostanze. E che cosa ci dice con questo? La vera via è occuparsi del malessere di queste persone, della loro sofferenza, della loro malattia, da un lato senza punire con sanzioni o prigione, dall’altra senza considerare le droghe un qualcosa che si possa accettare come normale nella nostra società. La terza via è, invece, occuparsi di queste persone, restaurando tutto il bisogno di solidarietà, di coesione sociale, di supporto, di cure che questi pazienti hanno e non fingere che la loro sofferenza non esista.

D. – Quindi, professore, ciò che le ci dice è, da una parte, “no” alla repressione dei tossicodipendenti e, dall’altra, “no” alla legalizzazione…

R. – Certamente no alla repressione. Occorre chiedersi che cosa ha condotto questo individuo a questo tipo di malattia: grazie a quello che sappiamo dal punto di vista neurobiologico, da tutti gli strumenti che abbiamo della scienza, riconosciamo una vera e propria patogenesi di una malattia per quello che riguarda l’alcoolismo e le tossicodipendenze e riconosciamo una sofferenza interna, interiore, importante, che è spesso il frutto di una serie di svantaggi nel corso della storia clinica di questi pazienti. Sarebbe veramente una crudeltà immaginare un sistema di controllo delle droghe che va a punire - invece che gli spacciatori e i criminali - le persone che sono rimaste impigliate, intrappolate in questa condizione di malattia. Anche quando parliamo di legalizzazione, facciamo un atto di negazione: a nessuno può importare di queste persone, quello che conta è che facciano quello che vogliono, continuino pure… Anche in questo caso, così come punendo, andiamo in qualche modo a fare negazione, a non voler vedere la condizione di sofferenza sottesa a questi comportamenti tossicomanici.

D. – Il Papa ha usato parole molto forti contro i “mercanti di morte”, che “seguono la logica del potere e del denaro ad ogni costo”. Professore, sappiamo quanto la lotta ai narcos in quel continente e la stessa lotta tra narcos generi vittime e violenza…

R. – Certamente, la violenza oggi è centrata sulle azioni di queste organizzazioni criminali che si occupano del mercato della droga clandestino. Ma ci sono anche situazioni strutturali – sia economiche, che finanziarie che politiche – che hanno aiutato a costruire nel tempo la struttura e la forza di queste organizzazioni criminali. Possiamo far di tutto con le armi per contrastare il traffico di droga, ma sino a che non saremo capaci di controllare l’appetito immenso, ad esempio per la cocaina, che c’è nei Paesi ricchi, sarà ben difficile, per le leggi di mercato, riuscire a fronteggiare un fenomeno di questo genere. Quindi, l’accento ancora una volta è su prevenzione dell’uso di droga, trattamento delle dipendenze e offerta di una reintegrazione sociale e di una solidarietà sociale attorno a questi pazienti, non stigma e discriminazione.

D. – Dietro al fenomeno droga, c’è una evidente situazione di profondo malessere sociale. Andiamo ad analizzare proprio la società brasiliana: sappiamo quanto sia dilaniata da un grande divario sociale e come i poveri – e in questo caso molti bambini – siano dipendenti dalle droghe…

R. – Ho sempre cercato di spiegare ai giovani nell’Occidente industrializzato, che considerano l’uso di droghe erroneamente ricreazionale, quanto invece nei Paesi poveri questo corrisponda spesso alla possibilità di adattarsi a una vita terribile, spesso a una vita nelle strade. Oggi, purtroppo la cocaina-crack è diventata così a buon mercato in questi Paesi, e particolarmente nell’America Latina, da essere possibile da acquistare da parte dei bambini di strada. Non c’è niente di ricreazionale. Non sono ragazzi che vanno in discoteca con una pastiglia di ecstasy. Sono bambini che devono sopravvivere ogni giorno e che spesso consumano queste droghe per non sentire la fame, per non subire un eccessivo carico di lavoro, per riuscire a sopportare uno stress interno infinito e una condizione di abbandono senza limiti. Questi bambini dovrebbero essere un appello per tutti a dire: chiudiamo la porta all’uso di queste sostanze e aiutiamo questi sottogruppi della popolazione a uscire dalla loro condizione, e non certo con la scorciatoia di una medicazione farmacologica.







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