Il Papa e il no a droga e dipendenze. L'Onu: le sue parole un incoraggiamento
Il secco no alla legalizzazione delle droghe e alla piaga del narcotraffico lanciato
da Francesco ancora risuona nell’ospedale di San Francesco d’Assisi di Rio, che ha
visto il commovente abbraccio tra il Pontefice e i pazienti, affetti dalla dipendenza
di alcool e droga. “Abbracciare non è sufficiente”, ha detto Francesco, per il quale
occorre tendere la mano a chi è caduto nel buio della dipendenza. Parole accolte con
grande soddisfazione da chi si definisce “il volto umano” della lotta alla droga,
come GilbertoGerra, medico, docente universitario, Capo dipartimento
prevenzione droga e salute dell’Unodc, l'Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga
e il Crimine, con sede a Vienna. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:
R. – Per noi
dell’Organizzazione internazionale che si occupa della droga e del crimine è stato
estremamente incoraggiante questo messaggio di Papa Francesco, in piena sintonia con
una posizione espressa nell’ultima dichiarazione politica da tutti gli Stati membri
delle Nazioni Unite all’unanimità. E cioè, le droghe illegali non debbono diventare
una strategia di vita, rimangono pericolose, riconosciute come pericolose per lo sviluppo
dei Paesi e per la salute delle giovani generazioni. Devo dire che il messaggio di
Papa Francesco è stato – ben prima delle sue parole – quello di andare in visita a
un centro di cura per la dipendenza da sostanze. E che cosa ci dice con questo? La
vera via è occuparsi del malessere di queste persone, della loro sofferenza, della
loro malattia, da un lato senza punire con sanzioni o prigione, dall’altra senza considerare
le droghe un qualcosa che si possa accettare come normale nella nostra società. La
terza via è, invece, occuparsi di queste persone, restaurando tutto il bisogno di
solidarietà, di coesione sociale, di supporto, di cure che questi pazienti hanno e
non fingere che la loro sofferenza non esista.
D. – Quindi, professore, ciò
che le ci dice è, da una parte, “no” alla repressione dei tossicodipendenti e, dall’altra,
“no” alla legalizzazione…
R. – Certamente no alla repressione. Occorre chiedersi
che cosa ha condotto questo individuo a questo tipo di malattia: grazie a quello che
sappiamo dal punto di vista neurobiologico, da tutti gli strumenti che abbiamo della
scienza, riconosciamo una vera e propria patogenesi di una malattia per quello che
riguarda l’alcoolismo e le tossicodipendenze e riconosciamo una sofferenza interna,
interiore, importante, che è spesso il frutto di una serie di svantaggi nel corso
della storia clinica di questi pazienti. Sarebbe veramente una crudeltà immaginare
un sistema di controllo delle droghe che va a punire - invece che gli spacciatori
e i criminali - le persone che sono rimaste impigliate, intrappolate in questa condizione
di malattia. Anche quando parliamo di legalizzazione, facciamo un atto di negazione:
a nessuno può importare di queste persone, quello che conta è che facciano quello
che vogliono, continuino pure… Anche in questo caso, così come punendo, andiamo in
qualche modo a fare negazione, a non voler vedere la condizione di sofferenza sottesa
a questi comportamenti tossicomanici.
D. – Il Papa ha usato parole molto forti
contro i “mercanti di morte”, che “seguono la logica del potere e del denaro ad ogni
costo”. Professore, sappiamo quanto la lotta ai narcos in quel continente e la stessa
lotta tra narcos generi vittime e violenza…
R. – Certamente, la violenza oggi
è centrata sulle azioni di queste organizzazioni criminali che si occupano del mercato
della droga clandestino. Ma ci sono anche situazioni strutturali – sia economiche,
che finanziarie che politiche – che hanno aiutato a costruire nel tempo la struttura
e la forza di queste organizzazioni criminali. Possiamo far di tutto con le armi per
contrastare il traffico di droga, ma sino a che non saremo capaci di controllare l’appetito
immenso, ad esempio per la cocaina, che c’è nei Paesi ricchi, sarà ben difficile,
per le leggi di mercato, riuscire a fronteggiare un fenomeno di questo genere. Quindi,
l’accento ancora una volta è su prevenzione dell’uso di droga, trattamento delle dipendenze
e offerta di una reintegrazione sociale e di una solidarietà sociale attorno a questi
pazienti, non stigma e discriminazione.
D. – Dietro al fenomeno droga, c’è
una evidente situazione di profondo malessere sociale. Andiamo ad analizzare proprio
la società brasiliana: sappiamo quanto sia dilaniata da un grande divario sociale
e come i poveri – e in questo caso molti bambini – siano dipendenti dalle droghe…
R. – Ho sempre cercato di spiegare ai giovani nell’Occidente industrializzato,
che considerano l’uso di droghe erroneamente ricreazionale, quanto invece nei Paesi
poveri questo corrisponda spesso alla possibilità di adattarsi a una vita terribile,
spesso a una vita nelle strade. Oggi, purtroppo la cocaina-crack è diventata così
a buon mercato in questi Paesi, e particolarmente nell’America Latina, da essere possibile
da acquistare da parte dei bambini di strada. Non c’è niente di ricreazionale. Non
sono ragazzi che vanno in discoteca con una pastiglia di ecstasy. Sono bambini che
devono sopravvivere ogni giorno e che spesso consumano queste droghe per non sentire
la fame, per non subire un eccessivo carico di lavoro, per riuscire a sopportare uno
stress interno infinito e una condizione di abbandono senza limiti. Questi bambini
dovrebbero essere un appello per tutti a dire: chiudiamo la porta all’uso di queste
sostanze e aiutiamo questi sottogruppi della popolazione a uscire dalla loro condizione,
e non certo con la scorciatoia di una medicazione farmacologica.