Il Sud Sudan tra crisi di governo e l’emergenza nei campi profughi
A due anni dall’indipendenza da Khartoum, il Sud Sudan è tutt’altro che un Paese pacificato.
Il presidente Salva Kiir ha sospeso il proprio vice e tutti i ministri del suo governo
e ha fatto sapere che procederà a un “rimpasto”. Il motivo sono le tensioni nate all’interno
della forza di maggioranza, il Movimento popolare di liberazione del Sudan, che, nato
come una formazione di guerriglia, ora dovrebbe evolversi in un partito in grado di
garantire il pluralismo politico. Intanto, da un incontro organizzato in Germania
da Aiuto alla Chiesa che soffre – Fondazione di diritto pontificio che l’anno scorso
ha donato alla Chiesa sud sudanese 400 mila euro – il vescovo di Tambur-Yambio, mons.
Edward Hiiboro Kussala, lancia l’allarme sulla situazione della sua diocesi, dove
agiscono indisturbati i ribelli dell’Esercito di resistenza del signore, gruppo nato
in Uganda ma attivo anche nella Repubblica Centrafricana, nella Repubblica Democratica
del Congo e ora anche in Sud Sudan. “La presenza militare non è una soluzione. I fedeli
sono terrorizzati e preferiscono abbandonare le loro case, aumentando il numero degli
sfollati”, racconta il presule che ha vissuto per molti anni in un campo profughi,
dopo che il suo villaggio fu bruciato e sua madre fu uccisa. Il tasso di mortalità
infantile nel Paese è compreso fra il 30 e il 40% e le situazioni peggiori si registrano
nel campo profughi di Kalma, a sud del Darfur, e nella contea di Pibor, Stato di Jonglei,
dove si sono verificate violenze tra le comunità di Lou Nuer e Murle. Qui, il Programma
alimentare mondiale delle Nazioni Unite, il cui lavoro è complicato in queste ore
dalle forti piogge, necessita di 20 milioni di dollari fino a dicembre per finanziare
l’assistenza a 60 mila persone. Le piogge insistono anche nel campo profughi di Kalma,
vicino Nyala, dove molte persone, tra cui tanti bambini, vivono all’aperto, senza
riparo per le intemperie. (R.B.)