Gmg. La testimonianza di suor Elci, l’angelo delle favelas
Nell'Ospedale di San Francesco d’Assisi, a salutare il Papa nella struttura vi è stato
anche la delegazione di un Centro per il recupero dei tossicodipendenti e degli alcolizzati,
denominato “Progetto Betania”, che opera nella favela di “Città di Dio” alla periferia
della metropoli carioca. Il Progetto lo si deve all’ispirazione di una suora brasiliana,
suor Elci Zerma. L’ha incontrata nella "sua" favela, il nostro inviato a Rio,
Roberto Piermarini:
Suor Elci è
l’angelo della favelas della “Cidade de Deus”, la Città di Dio. La chiamano la “Madre
Teresa delle favelas” in uno dei quartieri dei poveri più poveri di Rio, un universo
di povertà ed emarginazione al quale fino a due anni fa la polizia proibiva l’accesso.
Oggi, è stata bonificato dal narcotraffico ma non dalla miseria. Elci è una suora
paolina delle Pie Discepole del Divin Maestro, una religiosa che continua ad adorare
Gesù Eucarestia, attraverso il volto degli poveri:
“Ognuno che arriva qui
è per me il Cristo che bussa alla porta e che chiede aiuto, senza vesti e senza speranza.
Però, poi, quando incominciano a convivere, qui, nasce la speranza”.
Da
13 anni, porta avanti il Centro "Betania" che recupera drogati ed alcolizzati: ne
ha recuperati oltre 1700. Dieci di loro saranno presenti all’incontro con il Papa
all'Ospedale San Francesco di Rio. Così suor Elci racconta come è nata la sua missione:
“Io
qui, a Rio, nella mia comunità avevo un gruppo sotto i ponti; soffrivano molto: c’erano
bambini, persone malate, anche, persone sieropositive all’Hiv… Solo poche cose potevamo
fare per loro. Allora, meditando il Vangelo del Buon Samaritano, Marta, Maria e Lazzaro
in Betania, il Signore mi ha chiamato a pensare un progetto. Ho scritto questo progetto,
poi l’ho presentato alla mia superiora generale e lei ha approvato che io mi dedicassi,
anche se non era proprio un lavoro come l’apostolato liturgico. Noi abbiamo missioni
di apostolato e portiamo la liturgia nella realtà dei poveri”.
Il Centro
ospita 50 persone che, una volta recuperate, con l’aiuto di un’équipe di tecnici,
dopo nove mesi rientrano nelle proprie famiglie ed entrano nel mondo del lavoro, avendo
acquisito una professione. Tutti ritrovano la dignità di uomini attraverso la preghiera
ed il lavoro:
“Loro lavorano nell’artigianato, nel riciclaggio, lavorano
la terra, nelle coltivazioni di banane… Abbiamo fatto un regalo al Papa: un lampadario
e un quadro enorme, una tela del Corcovado con le favelas e la città”.
Ma
nelle favelas di Rio – come dice suor Elci – non ci sono soltanto criminalità e violenza,
ma anche valori che la società del benessere sta perdendo:
“La cultura del
popolo che cerca: c’è molta fede. Sono persone capaci di accogliere la proposta di
evangelizzazione, che cercano e vogliono essere aiutati ad uscire da queste situazioni.
Di quelli che vengono qui, molti sono stati minacciati di morte. Per questo vengono
e dicono: ‘Io sono qui perché io non voglio morire: io voglio recuperarmi, non voglio
più stare nel narcotraffico, io non voglio più usare la droga!’. Ecco, c’è una volontà
spontanea ad uscire da questo tunnel, e questo richiede un grande appoggio e un grande
affetto perché bisogna dire loro: è possibile uscirne!”.