Settimana internazionale della Critica di Venezia. Presentate le opere in Concorso
Sette film in concorso, provenienti da tutto il mondo, più due pellicole fuori gara:
questo il programma della 28.ma Settimana internazionale della critica in programma
dal 28 agosto al 7 settembre prossimo a Venezia nell’ambito della 70.ma Mostra del
Cinema. La presentazione oggi in conferenza stampa a Roma. Si concorre per due premi
“Il Leone del Futuro-Premio Venezia Opera prima” e il “Premio del pubblico RaroVideo”.
La selezione impegnativa e coinvolgente lascia spazio ad una costellazione di opere
originali e autori meritevoli di visibilità. Gabriella Ceraso ha incontrato
il delegato generale della Commissione selezionatrice, Francesco Di Pace:
R. – E’ stata
come sempre una selezione molto faticosa: abbiamo ricevuto più di 400 film! Un quadro
abbastanza ampio di tutto il panorama internazionale degli esordi. Noi apriamo con
un film italiano fuori concorso, che è un film d’animazione e che si chiama “L’arte
della felicità”, chiudiamo con un film cileno fuori concorso che si chiama “Las analfabetas”
e all’interno della selezione, invece, ci sono un film italiano, un film cileno, un
film svedese, un film sloveno, un film che è una co-produzione italo-tedesca proveniente
dalla Tanzania; poi c’è un film sorpresa …
D. – Andiamo proprio al cuore delle
tematiche, dei problemi, degli aspetti della realtà che vengono toccati: che cosa
vi ha impressionati?
R. – A me quest’anno è piaciuto collegare i vari film
con una specie di costellazione: tra le varie cose che uniscono ci sono sicuramente
il rapporto verità-finzione, il tema dell’intolleranza, l’ambiente scolastico, i rapporti
tra compagni di classe … aleggia sullo sfondo anche la presenza delle dittature, il
valore della letteratura e della cultura, soprattutto nei due film di apertura e di
chiusura … Insomma, i temi sono molteplici.
D. – Che cosa fa di un film un
buon film, per un critico?
R. – Per noi che scegliamo opere prime, il
film deve segnalare un giovane talento: deve segnalare coraggio espressivo, talento
stilistico, voglia, urgenza di raccontare temi molto forti.
D. – L’etica che
spazio ha? Lei ha parlato di intolleranza, per esempio …
R. – Bè, sì, ci sono
un paio di film che hanno a che vedere con questo tema; uno, in particolare, che si
chiama “White Shadow” e tratta degli albini in Africa: gli albini sono sottoposti
a persecuzione, in Africa, perché sono ritenuti diversi. Parti del loro corpo
vengono usate per pratiche di stregoneria. E’ un vero massacro: questo è un film molto
forte. L’eticità è presente in tante cose: anche nel film svedese “The Reunion” c’è
una storia che riguarda la stessa regista, che si mette in scena, che racconta come
la vita di una persona possa essere modificata dal comportamento collettivo dei compagni
di classe che la boicottano e la emarginano …
D. – “L’arte della felicità”
…
R. - … è un film d’animazione, disegnato benissimo, con tantissime musiche.
Poi, parlare di eticità e parlare di spiritualità per questo film è l’apoteosi: parla
di buddismo, parla di ricerca interiore, ricerca della propria anima andata persa
a seguito di decisioni prese nella vita o delusioni nella vita … E’ un film veramente
da tener d’occhio.
D. – Questo vostro lavoro cosa ci dice sul futuro – anche
a breve termine – del cinema?
R. – E’ un momento difficile; non si produce
tantissimo, non si produce tanto a livello di qualità rispetto ad altre nazioni, magari,
che invece hanno a cuore il cinema in maniera maggiore e ci investono di più e sono
più coraggiosi … E’ un anno interlocutorio, secondo me, ma questo riguarda un po’
tutto il cinema, non solo quello degli esordi, si sa.
Tra i film in concorso,
spicca una commedia intelligente e delicata dal titolo Zoran, il mio nipote scemo,
esordio di Matteo Oleotto. E’ la storia del rapporto tra un personaggio apparentemente
cattivo e insensibile, Paolo, e il suo giovane nipote candido, quasi autistico, Zoran,di
cui Paolo vorrebbe inizialmente liberarsi. Invece il rapporto tra i due si consoliderà
fino a scoprirsi l’uno dono per l’altro. Da cosa è partita l’ispirazione e con quali
obiettivi? Gabriella Ceraso lo ha chiesto allo stesso regista Matteo Oleotto:
R. – Mi sono
ispirato a molte persone che conosco, della mia terra: io vengo dal Friuli Venezia-Giulia,
sono di Gorizia e diciamo che avevo in mente i personaggi di quella terra. Sono personaggi
che mi colpiscono sempre per la loro tenerezza,anche in un contesto che invece sembra
più duro. Quindi, diciamo che l’ispirazione è partita da persone che conoscevo e poi
abbiamo strutturato un film nel quale ci sono moltissime cose che arrivano dalla vita
reale.
D. – I personaggi: parliamo di Zoran, questo nipote un po’ particolare.
E’ un autismo visto anche con un occhio molto dolce …
R. – Sì: più che un autismo,
noi abbiamo incominciato a tratteggiare il personaggio di Zoran come un personaggio
strano.Ha vissuto per tantissimi anni con una nonna anziana in un isolotto;
Zoran ha imparato l’italiano da due romanzi, e quindi parla una lingua a volte un
po’ antica. Dall’altra parte c’è Paolo – Giuseppe Battiston – che invece è l’uomo
d’osteria, l’uomo che usa un vocabolario con una media di 40-50 parole. E il cortocircuito
è chiaramente inevitabile: tra la delicatezza e la tenerezza di questo ragazzo sprovveduto
e spaesato, e il cinismo di questo omone interpretato da Giuseppe Battiston.
D.
– Che cosa ti aspetti dal pubblico?
R. – Mi piacerebbe che il pubblico apprezzasse
un’atmosfera: abbiamo lavorato molto su questo. La storia è diventata un pretesto
per raccontare un luogo geografico poco conosciuto al cinema, l’atmosfera strana e
magica di questo luogo geografico.
D. – Come giovane autore, quanto
e come pesa il presente che stiamo vivendo sul tuo immaginario?
R. – Molto.
Moltissimo. La mia idea è stata quella – appunto – di provare a ricalcare, a lavorare
sui canoni della vecchia commedia all’italiana: si ride, ma si ride spesso anche su
vite abbastanza misere e mediocri. La realtà che viviamo oggi è molto severa. Però,
io penso che bisogna continuare a sorridere, a ridere, perché altrimenti i margini
per buttarsi giù sono dietro l’angolo, sempre.