2013-07-21 09:09:57

Giornata di preghiera per la pace in Centrafrica. Padre Gazzera: lo Stato non esiste più


Domenica di preghiera per la pace nella Repubblica Centrafricana promossa da Aiuto alla Chiesa che soffre. Il Paese da marzo, dopo la presa di potere da parte dei ribelli Seleka, vive gravissime difficoltà. I vescovi riuniti nei giorni scorsi per la 16.ma plenaria del Secam – il Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar – hanno espresso le loro preoccupazioni per le condizioni di vita della popolazione. Oggi in molte chiese viene celebrata una Messa per la pace con la lettura di un messaggio condiviso da diverse confessioni religiose, come sottolinea padre Aurelio Gazzera, missionario carmelitano, dal 1993 in Centrafrica, raggiunto telefonicamente a Bozoum. L’intervista è di Benedetta Capelli:RealAudioMP3

R. – E’ un messaggio nel quale parliamo prima di tutto come credenti. La Parola di Dio, la Legge di Dio, invita tutti a prendere sul serio questi problemi, queste difficoltà, che tanti fratelli e sorelle hanno in questo momento. Nel messaggio diciamo chiaramente che nessuna fede accetta o ammette l’uccisione, la violenza. Questo è bello anche perché nasce da una dichiarazione congiunta tra cattolici, musulmani e protestanti. Inoltre, prima di tutto, per i credenti è un richiamo a una conversione e a un impegno serio. Ed è un richiamo alle autorità civili e militari, un richiamo agli elementi ribelli, in particolare ai Seleka, e un invito alle donne e ai giovani a riprendere coraggio e avere speranza per cercare di andare avanti per costruire qualcosa.

D. – Che situazione si vive?

R. – La situazione è di un’estrema fragilità, miseria. E’ un Paese in cui non c’è più alcuna struttura. Lo Stato, che già era molto debole prima, è praticamente scomparso. Gli ospedali non funzionano, le scuole sono chiuse, a parte qualche rara scuola. Le autorità civili non hanno ancora ripreso a funzionare. Le autorità militari sono sparite, sostituite da questi ribelli. Ormai si parla di 20 mila persone che fanno parte di questo movimento di ribellione.

D. – In un comunicato del Secam qualche giorno fa si leggeva che la popolazione è afflitta da indicibili sofferenze…

R. – Tutto quello che è finanze dello Stato ora è in mano a questi ribelli che le gestiscono a loro uso e consumo, quindi niente passa dalle tasche dei commercianti, dalle piccole entrate che ci potrebbero essere. Niente arriva nelle casse dello Stato ma va direttamente nelle casse di questi ribelli. I salari sono pagati a singhiozzo, ma non so fino a quando riusciranno a pagarli. Ci sono ospedali chiusi oppure con pochissimo personale e soprattutto senza medicinali. La maggior parte delle scuole è rimasta chiusa e in alcune zone, addirittura, non hanno aperto. Ma anche nelle zone relativamente più tranquille è da marzo che sono chiuse e non si riescono a riaprire perché i maestri hanno paura.

D. – In questo contesto qual è l’impegno della Chiesa?

R. – Prima di tutto c’è un po’ la necessità di affrontare le problematiche urgenti come quelle sanitarie, oppure fra fronte ai bisogni della popolazione che si è trasferita e si è rifugiata in altre città. Questo è un po’ il lavoro urgente. Poi c’è un grande lavoro di riflessione da fare, di formazione, sul quale ci stiamo impegnando.

D. - La popolazione è molto provata in questa situazione...

R. – Quello che fa un po’ più paura è proprio la rassegnazione, come se non ci fosse nessuna speranza di un futuro migliore, anche perché purtroppo sono passati attraverso decenni di difficoltà dove gli uomini politici non hanno mai fatto granché per portare questo Paese in avanti. A 50 anni dall’indipendenza, lo Stato non ha mai costruito una scuola con i suoi fondi, neanche un ospedale. Quindi, vuol dire che non c’è mai stato un impegno serio.

D. – C’è un appello che vuole lanciare dai microfoni della Radio Vaticana?

R. – Intanto, prima di tutto, vorrei dire grazie di cuore per tutti quelli che pregano, e sono veramente tanti! Per tutti quelli che pensano, agiscono e ci aiutano anche solo con la simpatia a tenere duro e andare avanti. Un appello a non lasciarci soli, ad aiutarci, ad aiutare questo Paese a risollevarsi, a creare non tanto strutture quanto coscienze che possano un domani raccogliere la sfida e ricreare questo Paese.







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