Lampedusa e il Nobel per la pace. Hein: sì, ma per affrancarla dal peso che sopporta
Nuovi sbarchi a largo di Lampedusa, di Pozzallo e a Siracusa. In tutto, quasi 150
migranti eritrei e siriani, tra cui anche donne e bambini, sono stati dunque tratti
in salvo sulle coste siciliane, e operazioni di soccorso si stanno svolgendo sulle
coste calabre. Intanto, a livello politico si sta facendo strada la proposta di candidare
Lampedusa al premio Nobel per la Pace come “riconoscimento dell’impegno e dell’amore”
dei suoi abitanti. Il servizio di Gabriella Ceraso:
“Avete mostrato
e mostrate attenzione alle persone nel loro viaggio verso qualcosa di migliore. Siete
una piccola realtà, ma offrite un esempio di solidarietà”. Le parole di Papa Francesco
ai lampedusani, l’8 luglio scorso, sono più vive che mai di fronte alle nuove emergenze
nel Mare di Sicilia. Nuovi arrivi e, dunque, nuova offerta di accoglienza, carità
e amore da una popolazione che - il Papa stesso se lo augurò in quella visita indimenticabile
- dovrebbe essere "faro, col suo esempio, per il mondo". E forse in questa direzione
va la candidatura al Nobel per la Pace di Lampedusa, proposta dal quotidiano della
Cei già nel 2011 e rilanciata dopo la presenza del Pontefice. L’idea è piaciuta a
diversi senatori siciliani e soprattutto al ministro per la Semplificazione D’Alia,
deciso a farsene portavoce presso il premier Letta. “Avrebbe un grande significato
simbolico anche per l’Europa”, sostengono. “Certo - dice ai nostri microfoni Christopher
Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati - la popolazione lo merita,
ma non può rappresentare un vanto ciò che accade in quell’isola”:
R. - E’
ambiguo, no? Non voglio dire che l’idea sia del tutto sbagliata, ma mi sembra un poco
fuorviante parlando di un premio per la pace, che potrebbe dare un segnale e dire:
“Ok, va benissimo così. Bisogna migliorare e ampliare il Centro di accoglienza e poi
tutto va bene”. Ma non va bene per niente! Lampedusa dovrebbe tornare a essere una
bella isola di pescatori e di turisti, come era un volta… Diciamo che non c’è niente
da festeggiare. E penso che il Papa, nella sua storica visita, lo abbia molto ben
sottolineato: Lampedusa è un posto che fa pensare a tutti quelli che non sono mai
arrivati, ma anche che non è possibile che l’unico modo per i rifugiati per arrivare
in Europa sia quello di attraverso il mare sui barconi e poi arrivare a Lampedusa…
Lampedusa in un certo modo - se vogliamo in modo più estremo - più che simbolo di
pace è un simbolo di guerra fra l’Europa e l’Africa. Fermo restando naturalmente un
riconoscimento anche per la popolazione dell’isola, per tutto ciò che hanno sofferto
e per tutto ciò che hanno dato. Io penso che sarebbe meglio seguire la strada che
il Papa ci ha indicato, veramente come una questione di coscienza, e fare quindi qualcosa
affinché queste tragedie non si ripetano più. Non sono convinto che il Premio Nobel
per la Pace, per questo tipo di simbolismo, ci possa essere d’aiuto.
D. - Certo,
occorrono dunque gesti concreti, lei dice…
R. - Gesti concreti e politica europea:
aprire canali per un arrivo legale, protetto, normale per chi ne ha bisogno. Certamente,
con certi criteri e procedure: questo è quello che ci manca totalmente e su questo
l’Unione Europea e anche l’Italia dovrebbero lavorare.