Roma, 70 anni fa le bombe su San Lorenzo. Il ricordo del cardinale Angelini
Un convegno, l’apertura di una mostra rievocativa, l’omaggio del sindaco di Roma,
Ignazio Marino. Sono gli avvenimenti che in queste ore hanno segnato, e lo faranno
per tutta la giornata, la commemorazione delle vittime del bombardamento del quartiere
romano di San Lorenzo. Il 19 luglio 1943, gli ordigni alleati lo semidistrussero,
facendo 1.500 morti e 4 mila feriti. Tremila furono in totale le vittime nella città.
Il servizio di Alessandro De Carolis:
“Cadevano
le bombe come neve, il diciannove luglio a San Lorenzo…” (Da “S. Lorenzo”
di Francesco De Gregori)
Pesano più o meno duemila libbre i “fiocchi” che poco
dopo le le 11 della mattina cominciano a cadere su Roma. E d’acciaio sono le “nuvole”
che li scaricano sulla Città Eterna, e indifesa. La gente scappa ma l’inferno arriva
prima. Prenestino, Tiburtino, Tuscolano, San Lorenzo: è un lunedì di apocalisse quello
dei romani di questi quartieri. Scoppi, fumo, urla e sangue. Gli aerei passano a ondate
e completano l’opera a raffiche di mitra. La banchina della Stazione Casilina diventa
la tomba dei passeggeri di un treno bloccato dall’attacco. L’obiettivo alleato è la
stazione di Roma Termini, ma chi ne fa le spese è soprattutto il vicino quartiere
San Lorenzo. Lo ricordava, in una intervista di dieci anni fa alla Radio Vaticana,
il cardinale Fiorenzo Angelini, testimone oculare dell’incursione:
“Ero
allora viceparroco nella parrocchia della natività di Nostro Signore Gesù Cristo in
via Gallia, ai confini proprio della zona bombardata. Erano le 11.10, 11.15. Io stavo
benedicendo il matrimonio di alcuni sfollati. Mi affrettai a concludere la Santa Messa,
uscii e vidi le fiamme e il fumo verso piazza Tuscolo. Presi con me l’olio degli infermi,
alcune particole consacrate e a grande velocità mi recai sul luogo del disastro. Sennonché,
arrivato a piazza Tuscolo, mi trovai lì in mezzo a una seconda ondata di mitragliamento
degli aerei che venivano”.
Il futuro cardinale Angelini si salva,
ma 1.500 uomini, donne e bambini restano uccisi, la maggior parte sotto le macerie
dei palazzi. Passano alcune ore finché, nell’atmosfera di panico, tra le grida dei
feriti che si mischiano a quelle di chi cerca mogli, figli, genitori, accade un fatto
sorprendente. Da una strada laterale, appare un’auto nera. Don Fiorenzo Angelini la
vede e capisce. Sull’auto c’è Pio XII. Allora si fa avanti, allarga le braccia e la
blocca:
“Fermai la macchina perché lì vicino c’era una bomba di aereo inesplosa.
Il Papa scese, la gente accorse immediatamente e il Papa fu di un’affabilità straordinariamente
grande. Per cui, si trovò famigliarmente a trattare con questa gente che aveva sotto
le macerie i propri congiunti. A un certo momento si rivolse a mons. Montini, fece
un cenno e mons. Montini tirò fuori un pacco grande di banconote. Il Papa cominciò
la distribuzione. Io, con molta umiltà, mi permisi di dire: 'Padre Santo, la gente
che ha bisogno non si trova qui, si trova sotto le macerie, per cui li dia al parroco
che poi li distribuirà alle famiglie'. Il Papa accettò questo mio povero consiglio,
umile, però molto pratico”.
(Da “S. Lorenzo” di Francesco De Gregori): “E
il Papa la domenica mattina da San Pietro, uscì tutto da solo tra la gente, e in mezzo
a San Lorenzo, spalancò le ali, sembrava proprio un angelo con gli occhiali. E un
giorno, credi, questa guerra finirà, ritornerà la pace…”
Come la testa
di una cometa, Pio XII si muove un po’ nel quartiere seguito passo passo dalla scia
della gente. Chiede delle vittime, dei danni. Arriva davanti alla Basilica di S. Lorenzo
sventrata dalle bombe, scende a stento, si muove tra le macerie – l’abito bianco che
si sporca e macchia di sangue – e in un istante, intonando una preghiera, si fa interprete
della preghiera di tanti. E il buio pesto per un istante si rischiara di una luce
più alta delle bombe che l’hanno spenta. Ancora il cardinale Angelini:
“Il
Papa poi pregò insieme, ci fu un coro, l’invocazione della pace. Il grido di ‘pace,
pace, pace’ non l’ho mai sentito forte come in quel momento. Il Papa catalizzò immediatamente
tutta la zona intorno a sé. Pregò, pregammo con lui, e poi andò via ma lasciando un’impronta,
non consolatoria, perché la tragedia era una tragedia compiuta. Quello che mi colpì
è che vidi veramente la presenza di Gesù che era venuto in mezzo alla gente più derelitta,
più abbandonata, più bisognosa in quel momento”.