2013-07-18 14:27:20

Usa ottimisti sulla ripresa dei negoziati israelo-palestinesi. Ue critica sui Territori occupati


In Medio Oriente continuano ad avvicinarsi le posizioni di israeliani e palestinesi. Ne è convinto il Segretario di Stato americano, John Kerry, che, da Amman dopo aver incontrato il presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen e gli ambasciatori dei Paesi della Lega araba, ha parlato di una prossima ripresa dei negoziati di pace. “Attraverso un lavoro duro e determinato – ha ribadito - siamo stati in grado di accorciare significativamente le distanze" tra le parti. Le dichiarazioni arrivano dopo le nuove linee guida dell’Unione Europea che escluderanno da ogni accordo tra i due partner i territori occupati da Israele. Dura la reazione del premier Benjamin Netanyahu che sottolinea: "non accetteremo alcun diktat esterno sui nostri confini". Al microfono di Massimiliano Menichetti il commento della prof.ssa Marcella Emiliani, esperta dell'area: RealAudioMP3

R. - Fino a che non ci diranno nel dettaglio quali sono i termini del ritorno alla trattativa tra israeliani e palestinesi, vista dell’esperienza passata, direi che conviene essere molto cauti: sono due anni che israeliani e palestinesi non si parlano più e sono di fronte ad un enorme blocco della situazione, che è dato dal fatto che gli israeliani non hanno mai fermato il programma di colonizzazione dei Territori Occupati. Abu Mazen pone come precondizione che gli israeliani non costruiscano più colonie ebraiche in Cisgiordania; Netanyahu, invece, si ostina a non volere precondizioni da parte dei palestinesi, perché arrivino al tavolo dei negoziati. Difficile sormontare questa situazione, perché la colonizzazione - come sappiamo - procede imperterrita.

D. - Le dichiarazioni di Kerry arrivano dopo che l’Unione Europea ha tracciato le nuove regole guida per i rapporti bilaterali, anche con Israele. Sono esclusi i Territori Occupati e Netanyahu ribadisce: non accettiamo dictat da nessuno…

R. - La decisione dell’Unione Europea era stata presa già nel dicembre del 2012 e quindi è stata resa operativa solo adesso. La precondizione delle sanzioni dell’Unione Europea è quella che si rispetti la cosiddetta “linea verde”: ovvero il confine frutto di armistizio tra Israele e Paesi arabi prima della guerra del 1967, quindi prima che Israele conquistasse Cisgiordania, Gaza, Sinai e le alture del Golan. Oggi quando si parla di “Territori” - visto che il Sinai è stato restituito, col Trattato di Camp David, all’Egitto nel ’79; Gaza è stata restituita ai palestinesi, senza nessun negoziato, dagli stessi israeliani nel 2005; le alture del Golan, per ora, non sono mai state oggetto di un negoziato serio - si parla solo di Cisgiordania, ovvero di una parte ormai molto risicata della Cisgiordania, proprio perché Israele continua il suo programma di colonizzazione. Detto questo, la sanzione dell’Unione Europea sottintende l’accettazione da parte dell’Europa del piano di pace che è stato approvato dai Paesi arabi su iniziativa saudita nel 2002 a Beirut: la proposta lanciata dagli arabi ad Israele di fare la pace, purché Israele si ritiri entro i confini precedenti la guerra del ’67 e quindi la fatidica “linea verde”. Cosa, questa, che comporterebbe non solo un ritiro massiccio di Israele da tutta la Cisgiordania, ma porrebbe poi il problema non piccolo di che fine farebbero le colonie ebraiche. Un governo come quello di Netanyahu non sembra proprio disposto a questo!

D. - In questi giorni è fitta l’azione diplomatica degli Stati Uniti in tutta l’area: c’è preoccupazione per le tante situazioni di instabilità?

R. - Sì, assolutamente sì! Diciamo che gli Stati Uniti, in questo momento, più che del loro alleato storico - cioè Israele - sono preoccupati proprio della stabilità di tutta l’area, che è sul punto di scoppiare per aria, perché se non si trova una situazione di stabilizzazione dell’Egitto, verrà poi a cadere anche quello che è stato il vecchio patto in base al quale - prima con Mubarak e dopo con Morsi - era l’Egitto che garantiva, se non altro, la stabilizzazione del confine mediterraneo di Israele, che teneva a bada le intemperanze di Hamas a Gaza e che teneva sotto controllo tutto il quadro proprio dalle infiltrazioni Jihaidiste.









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