Rapporto Istat: 9,5 milioni i poveri in Italia. Mons. Soddu: deficit di buona politica
9 milioni e mezzo di persone in condizioni di povertà in Italia. Tra queste 4,8 milioni
vivono in condizioni di povertà assoluta, ovvero sono prive della capacità di spesa
per i servizi essenziali. Dati allarmanti emergono dall’ultimo Rapporto Istat sulla
povertà secondo il quale nel 2012 la povertà assoluta ha raggiunto lo scorso anno
il livello più alto mai registrato dal 2005. Federica Baioni neha parlato
con il direttore della Caritas italiana, don Francesco Soddu:
R. - "A pelle",
la mia prima reazione in seguito alla lettura di questi dati è questa: se sono aumentati
i poveri dobbiamo contestualmente affermare che sono aumentate le ingiustizie. Oppure,
ammettere che nello stato attuale delle cose non si è capaci di dare risposte puntuali
e adatte alla crescente situazione di disagio, attraverso adeguate norme di contrasto
alle povertà, oppure buone politiche sul lavoro e sulla ripresa economica altrettanto
buone.
D. – Quali sono le proposte di Caritas per fronteggiare questa empasse?
R.
– Oggi più che mai, è chiesto alla Caritas diocesana e parrocchiale di essere “fermento”
nell’intera comunità, perché non siamo più esclusivamente gestori di servizi. Ci viene
chiesto sempre di gestire un determinato servizio: questo deve essere un punto di
passaggio, deve essere emblematico rispetto a una situazione che poi si viene ad affermare
nella comunità. Quindi, gestori di servizi che in tutti i casi possono essere anche
sostitutivi delle istituzioni che con l’andar del tempo comunque rischiano di esplodere.
Ridare alla comunità la bella immagine di un unico corpo che in tutto, e non solo
in parte, si interessa e si occupa dei poveri.
D. – I nuovi poveri e soprattutto
la fetta della popolazione che ne risente di più – secondo i dati anche che l’Ocse
ha stilato in questi giorni – sono anche e soprattutto i giovani: contratti precari,
situazioni di lavoro non continuativo. Questi sono i primi spunti di questo quadro
davvero critico...
R. – Dal punto di vista meramente umano, si rimane molto
sconcertati ed anche disarmati. Dall’altra parte, dobbiamo essere sempre persone di
speranza e la speranza cristiana va oltre ciò che umanamente si può intendere come
speranza, ovvero qualcosa che può in maniera repentina essere lì presente dietro l’angolo.
La speranza cristiana ha un nome ed è Gesù Cristo, che si fa prossimo, si fa presente,
si fa compagno di strada. Questo deve essere appunto il messaggio che la Chiesa, attraverso
Caritas, porta e veicola sempre nel rapporto in questo caso con i giovani, ma anche
verso le povertà relazionali, le povertà di senso, le povertà multidimensionali che
sono presenti in lungo ed in largo nel nostro ambiente. Davanti a questo quadro critico,
noi abbiamo la bella proposta della persona, del cristiano, della persona rinnovata
in Cristo, che non si “chiude a riccio” ma anzi gli dà l’opportunità di essere sempre
più se stesso.