2013-07-16 07:49:14

Rd Congo: 130 morti nel Nord Kivu. L'esperto: lucro dietro le violenze


A nord-est di Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu, sono morte oltre 130 persone, in scontri tra ribelli del Movimento 23 marzo e soldati regolari. I vescovi del Congo hanno più volte chiesto ai leader politici africani di mettere fine alla guerra che insanguina il Paese e di “lavorare non per i propri interessi, ma per il bene di tutti”. Massimiliano Menichetti:RealAudioMP3

Il sangue non smette di scorrere nella provincia del Nord Kivu. L’ultimo bilancio di un conflitto che non sembra vedere la fine è di 130 morti. Le violenze sono riprese a Mutaho a circa 12 km a nordest di Goma: 120 ribelli del cosiddetto Movimento M23, che lottano, a loro dire, per lo scarso impegno del governo nel Paese, hanno perso la vita contrapponendosi alle truppe regolari, che denunciano dieci perdite. Secondo fonti locali i rivoltosi e i loro alleati ruandesi da settimane stanno rafforzando le proprie posizioni nella zona. Le truppe di Kinshasa comunque avrebbero costretto alla ritirata i miliziani verso Kibati. Migliaia i civili costretti ad abbandonare le proprie case. Secondo la Croce Rossa 65 mila congolesi hanno cercato rifugio in Uganda. In questo scenario, i vescovi africani hanno lanciano un forte appello ai leader politici perché “si metta fine alla guerra che insanguina la Repubblica Democratica del Congo” e perché “lavorino non per i propri interessi, ma per il bene di tutti”. “Sei milioni di morti in vent’anni”, sottolineano i presuli che invitano “tutte le parti coinvolte” a trovare vie per la pace.

Per un commento sulla situazione nel Paese, Massimiliano Menichetti ha intervistato Jean-Leonard Touadi, politico e accademico italiano, originario del Congo Brazzaville:RealAudioMP3

R. – E’ un conflitto che via via si è allargato dall’epicentro dell’est, fino a guadagnare porzioni sempre più ampie del territorio orientale della Repubblica Democratica del Congo. Sono mutati i soggetti, con sigle diverse, però le modalità di questo conflitto restano le stesse: centralità dell’estrazione delle materie prime preziosissime, che è il cuore del conflitto, ingerenza degli Stati vicini, che non è solo un’ingerenza politica, a sostegno di queste o quelle altre milizie – gli stessi Stati confinanti hanno economicamente giovato a questa crisi che dura da tanto tempo – e, terzo elemento, un’incapacità del governo di Kinshasa non solo di controllare il territorio ma di avviare qualunque ipotesi di dialogo interno tra congolesi ma anche un accordo con i propri vicini.

D. – In questo contesto, sembrano anche in difficoltà i caschi blu presenti nel Paese?

R. - La presenza Onu, in assenza di un quadro politico chiaro, sta diventando essa stessa un problema piuttosto che una soluzione e alla fine sono le popolazioni che vagano da un territorio all’altro, subendo stupri per quanto riguarda le donne, la piaga dei bambini soldato per i più piccoli e tutte le altre devastazioni umane.

D. – I vescovi africani intervengono e ribadiscono ai politici: non dovete lavorare per i vostri interessi, ma per il bene di tutti…

R. – Le autorità religiose sono intervenute in più di un’occasione. Devo dire che la Chiesa ha avuto un ruolo di supplenza importante, non solo stando vicino alle persone, alle popolazioni, dando assistenza, ma anche nel far riecheggiare ciò che sta avvenendo all’esterno. Questo ennesimo appello dovrebbe incitare il governo congolese a riprendere un minimo di iniziativa politica. Stiamo assistendo a un immobilismo del regime di Kabila, che si sta accontentando, come quelli che l’hanno preceduto, di gestire ricchezze del Paese, senza assolutamente badare a un minimo di ricostruzione di un tessuto politico sociale del Paese. L’altra questione è quella che riguarda i vicini. Secondo tutti gli osservatori, non c’è una soluzione che si possa trovare semplicemente in Congo senza invitare tutti i Paesi della regione dei Grandi Laghi in una conferenza internazionale che non debba soltanto limitarsi a individuare le responsabilità degli uni e degli altri, ma trovare terreni di cooperazione tra questi Paesi.

D. – Ma iniziative di questo tipo di fatto si sono tenute, ma non si riesce mai ad arrivare ad una concretezza…

R. – Il nodo, secondo me, centrale per il quale la guerra si è avvitata e per il quale nessuno ha interesse a fare cessare questa guerra è che fa comodo a tutti. Fa comodo alle multinazionali arrivare in piena foresta con gli aerei su piste di fortuna e imbarcare il coltan piuttosto che l’oro o i diamanti, fa comodo ai vicini poter diventare, senza nessuno sforzo, le piazze più importanti della compravendita di diamanti e di coltan, pur non avendolo nel proprio sottosuolo. C’è un’economia di guerra, una specie di geopolitica del cinismo dove i soggetti non hanno un progetto politico: hanno semplicemente corposi interessi economici. Quindi, la guerra si svolge in Congo ma le cause e le soluzioni devono essere trovate a livello dell’Unione Africana. Ma, soprattutto, la comunità internazionale, che troppo ha lucrato sul sangue e sulle sofferenze dei congolesi, ha il diritto e il dovere di allestire un processo di pace degno di questo nome.







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